Illuminazione e alta cucina: la luce trasforma l’esperienza gastronomica

Dai progetti di Davide Groppi alle collaborazioni con chef stellati come Massimiliano Alajmo, fino al design interattivo di Habits: la luce diventa ingrediente, scenografia e innovazione sensoriale a tavola.
Ci sono riflessi in grado di alterare non solo ciò su cui i nostri occhi posano lo sguardo, ma anche ciò che di più sinestetico appartiene alla sfera dei sensi: il gusto.

Una migrazione percettiva che evolve quando la luce attraversa la materia. Perché è in quel flusso luminoso capace di dare un volto nuovo al piatto che la creatività degli chef viaggia alla velocità della loro immaginazione.

E se i cuochi sono attori consapevoli di questa trasformazione, ci sono anche altre figure coinvolte per mettere sotto i riflettori i sapori e le grandi ricette: sono i lighting designer e i progettisti, complici silenziosi di tale giostra sensoriale.
Tra tutti c’è un deus ex machina che ha acceso l’occhio di bue sull’importanza dell’illuminazione nell’esperienza gustativa: è Davide Groppi, che produce lampade iconiche a Piacenza.
«Mi piace scrivere delle storie di luce. A tavola vengono rappresentate opere che sono la messinscena di qualcosa che va oltre il semplice consumo di cibo. Mi piace considerare l’illuminazione come un ingrediente di cucina» racconta il designer.

Interattività e dialogo quindi per connettere fruitore e artefice, seduttore e seduzione.
«Oggi si cerca la miniaturizzazione e la riproduzione consapevole dell’emissione luminosa. I LED mi hanno permesso di essere ancora più romantico. L’elettronica è diventata quindi l’occasione per cercare il lato magico e misterioso della luce, molto vicino all’incantesimo».
Un approccio che prende forma e si adatta a ogni esperienza, mostrando inedite sfumature capaci di rivelare tutta la soggettività dell’esperienza gourmet. «Ogni volta che lavoro con un ristorante cerco di mettere la luce nel piatto - continua Groppi - e ho avuto la fortuna di lavorare con molti chef e Massimiliano Alajmo è stato il primo a chiedermi di interpretare la sua arte. Nel nostro catalogo due lampade hanno la firma di Massimiliano e Raffaele Alajmo».

Uno scambio tra due arti capaci di valorizzarsi vicendevolmente. «Lavoro spesso con Davide sulla teatralità del piatto - spiega Massimiliano Alajmo -, quello che facciamo alle Calandre è entrare in scena sotto gli occhi del commensale. Diventa così un gioco di ruoli che enfatizza questo tipo di dialogo, perché anche il teatro funziona quando c’è un rapporto tra luce e buio».
Ed è proprio in questo equilibrio degli opposti che ogni parte mostra il suo essere fondamentale. «La mancanza di luce non viene letta come assenza, bensì come un’attesa di luce; per me anche l’ombra è importantissima». E dello stesso avviso è anche Davide Groppi, che rincara: «La luce è il mio lavoro, la mia vita, la mia passione. Vivo da sempre negli opposti. È nel dialogo e conflitto eterno tra luce e ombra che nasce la mia opera alla ricerca di verità e quindi di bellezza».

Così, tra neurogastronomia e “fotogastronomia”, Groppi insegue un sogno estetico che si rivela attraverso i sensi. Perché come dice Alajmo, «quando si parla di luce spesso tocchiamo anche la parte invisibile. La cosa che mi affascina è capire quanto la parte luminosa possa influire sulla pietanza e quando aiuti poi l’abbandono, sproni al viaggio e alla ricerca della profondità».
Ed è sempre mantenendo la luce al centro, nella sua presenza attiva o assenza ponderata, che il servizio in sala sfuma i contorni, si fa latente, per accendere l’attenzione sul cliente. Continua Alajmo: «Amo il fatto di poter dosare la luce durante il servizio per creare un’atmosfera ogni volta differente, allontanando l’ospite dai formalismi, ma mantenendo eleganza e semplicità» [...]

Estratto di "Una ristorazione illuminante" di Barbara Giglioli su ItaliaSquisita #52.

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Published on: 19-09-2025
By: Barbara Giglioli