Arrivare al Centro Fiere Caresanablot di Vercelli, capitale italiana del riso, e stare fianco a fianco con la chef Aurora Mazzucchelli del Ristorante Marconi a Sasso Marconi (BO), durante la fiera “Riso, Colture e Cotture” del giornalista enogastronomico Luigi Cremona. Fin qui è mia routine quotidiana in veste d’assaggiatore di professione, ma è il piatto della chef a parlare di più e a raccontare una storia di cultura e provocazione.
Ma se presentassi un risotto alle foglie di coca dal Peru?
Ma certo Aurora, se lo fai io voglio essere accanto a te per raccontarlo!
Eccolo dunque il Risotto alle foglie di coca dal Peru, infusione di fieno e cagliata di latte di capra ghiacciata all'eucalipto, il piatto proposto da Aurora Mazzucchelli. Sapore erbaceo, complesso nel suo carattere montanaro, aromatico e dalla piccola sapidità, si sente l’acidità e l’animale nella cagliata raggelata, in netto contrasto con il virgulto vegetale che impera godurioso in questo risotto davvero unico. La polvere di foglie di coca (harina de coca), portata dalla chef da un viaggio di lavoro a Lima (Mistura 2013), viene infine cosparsa sul piatto per conferire ulteriore potere a Madre Natura.
Provocazione o semplice ricerca culinaria e antropologica? La coca è usata nelle cucine della America Latina da secoli, forse millenni. Si narrano di piatti a base di foglie di coca nella cultura peruviana e andina, di infusioni benedette per andare in altitudine e non stare male, di sperimentazioni nell’alta cucina sudamericana. Queste foglie hanno poteri antiasmatici, analgesici, antinfiammatori, antiemetici, antinarcotici, come la caffeina o la teina. Perché dunque non provare quest’ingrediente nella cucina italiana d’avanguardia?
Non è provocazione, è semplice amore per un sapore degustato all’improvviso e per caso, proprio quando la chef Aurora Mazzucchelli ebbe la fortuna di intraprendere una camminata in altura in Peru. “Il sapore dell’infusione calda di foglie di coca mi ha ricordato quello del fieno che il contadino mi porta sempre al ristorante e io sono solita far bollire!” racconta la chef, “e quindi, perché non creare un piatto con queste tonalità organolettiche?”.
È un esperimento gastronomico d’antropologia, d’interconnessione fra culture e cucine differenti.
Ma l’amore per il Peru non finisce qui.
Il ceviche è una ricetta del Peru che consiste nel marinare il pesce crudo in un succo di lime, coriandolo, peperoncino e lime. E Aurora Mazzucchelli che fa? Applica questo metodo di marinatura precolombiana al capriolo crudo dell’Appennino tosco-emiliano, quello che giunge dalla prima filiera di carne di selvaggina dell’amico macellaio Massimo Zivieri. Nasce così il piatto Capriolo crudo, caviale di fragole e lamponi, gocce d’albume e foglie di ficoide glaciale: la carne selvatica viene cotta in ceviche e l’albume è siringato e cotto nell’olio evo a 80°C (così la parte bianca dell’uovo cuoce, non frigge e non si gonfia).