Osteria Arbustico on the road
Seguendo il perimetro della Campania troviamo quella costa che accolse i primi coloni greci provenienti da Sibari e imboccando le vie romane che portano verso l’interno, troviamo la Valle del fiume Sele e la cittadina di Valva, patria della prima Osteria Arbustico di Cristian e Tomas Torsiello.
Tutto ruotava attorno al sostentamento della famiglia, dalla coltivazione dei grani all’allevamento degli animali da cortile, ricordi d’infanzia indelebili dello chef Cristian Torsiello. Una delle pietanze più evocative è di sicuro pizza e minestra: un impasto di acqua calda e farina di mais cotto sulla brace sopra delle foglie di cavolo e mangiato insieme alla minestra di erbe spontanee come tarassaco, borragine o scarola. In forza della sinergia con la Famiglia Buccella, Cristian, ha riaperto l’Osteria Arbustico all’interno dell’Hotel Royal di Paestum.
Un clima di continua evoluzione e cambiamento che caratterizza anche il menu: un viaggio fra i vari territori abilmente ricomposti, dall’agnello accompagnato al paté di anguilla affumicata, sino a Caccia all’anatra: carpaccio, ricavato dal petto e completato con le erbe acquatiche, paté ottenuto da cosce e interiora e un brodo ricavato dalla carcassa dell’animale.
La mozzarella Barlotti
Ripercorrendo le vie del Grand Tour, sarebbe assurdo non soffermarsi sulla cultura di un animale simbolo della Campania: la Bufala di razza Mediterranea, che da millenni pascola ai piedi dei templi. Da oltre un secolo in questo contesto la famiglia Barlotti alleva le bufale e dal lontano 1991 il latte viene trasformato in quel gioiello che prende il nome di Mozzarella di Bufala Campana. La decennale esperienza della famiglia ha permesso di ottenere una mozzarella dolce e delicata, che esplode tutti i suoi sapori al primo morso.
L’artigianalità del processo produttivo e il rispetto per l’animale sono un punto fermo dei Barlotti che tutt’ora nutrono le bufale con erba medica, fieno e mais dei propri campi lasciandole libere di seguire il loro ritmo naturale di produzione.
Fra lusso e amenità territoriale
Ci dirigiamo in direzione Lavello, in prossimità della zona dei laghi di Monticchio. In un contesto di assoluta amenità, sorge il San Barbato Resort Spa & Golf. Non posso non soffermarmi sul Don Alfonso 1890 San Barbato, emblema della ristorazione del suo fondatore, Alfonso Iaccarino.
Fra caciocavallo podolico, pecorino di Filiano, fagioli di Sarconi, peperoni di Senise, agnelli della Murgia e l’aglianico del Vulture, l’identità regionale è la protagonista della cucina. Un esempio di eccellenza innovativa in un contesto antico, tradizionale e millenario.
La terra dei lievitati
Scoprire la moltitudine di segreti che ha in serbo questo territorio è ormai la missione di questo viaggio e quindi non resta che dirigersi verso l’entroterra lucano. Siamo ad Acerenza, in provincia di Potenza, davanti la Pasticceria Tiri 1957, unica pasticceria al mondo a occuparsi soltanto di lievitati.
Il custode di questo lievito madre centenario è Vincenzo Tiri.
e uno degli esempi più rappresentativi della sua pasticceria è sicuramente il Panettone. Vincenzo, rispettando assolutamente il disciplinare di produzione, ha trasferito la conoscenza della sua famiglia in questo splendido esempio di maestria. «Dopo 15 anni di ricerca abbiamo capito che la terza lievitazione conferiva all’impasto più aromaticità, rendendolo inoltre più morbido e più soffice».
La magia del Pollino
Riprendiamo la via e ci dirigiamo in una delle terre più silenziose di questo territorio. Nel cuore del parco nazionale del Pollino, precisamente nei pressi di Terranova, nel 1981 uno chef antropologo apre il suo Luna Rossa. Un parco divertimenti ancestrale per Federico Valicenti, grande cultore di queste terre. Il Luna Rossa sorge alla fine di una strada che si affaccia su di una vallata mozzafiato. «Dove finisce quella strada inizia la vita, la riscoperta di luoghi, di prodotti, di produttori e di tradizione». Pensate che nel periodo di Natale il profumo del fritto si sente per tutta la città. Come se tutto ciò non bastasse non potreste mai immaginare quanta religione ci sia in queste pietanze, quanta allegoria e quanta memoria. La mattina di Pasqua si mangia la frittata con asparagi e tuma: l’uovo è il simbolo della cosmicità, della resurrezione, gli asparagi rappresentano il verde della terra e il formaggio, bianco, da sempre è simbolo di purezza. Tutto è strettamente connesso, esiste un fil rouge eterno che dai riti religiosi conduce al piatto.
La potenza della memoria di questi luoghi lascia veramente senza parole. Tutto sembra fermo da tempo immemore ma «oggi l’arcaicità non è arretratezza, è un valore. La narrazione è l’elemento sovversivo della ristorazione». Bisogna riappropriarsi dei territori, bisogna tornare nei campi a parlare con i contadini e i pastori, con i «gustori del cibo».
Innovazione a ritroso: Matera 2019
Dopo la splendida tappa nella terra del Pollino è l’ora di ripartire verso nord. Passando da Senise, patria del peperone crusco, riprendiamo la strada maestra per Matera, Capitale della cultura 2019. Passeggiando fra i sassi ci si rende conto di quanto la città sia mistica, si rimane senza fiato. Ci addentriamo nel mondo di Vitantonio Lombardo patron del ristorante omonimo sito appunto in uno di quei sassi simbolo della città. Il legame con il territorio e la memoria è immediato: «Abbiamo capito che Matera era una città sommersa dal mare, poi ricoperta dall’attuale Murgia; ciò ci libera la mente e ci permette di usare in maniera definitiva tutto». I menu riflettono perfettamente il percorso dello chef: «il percorso di degustazione frammenti rappresenta parti di noi, del nostro territorio e della nostra idea. Battiti è invece un menu vivo come lo sono le pulsazioni di un cuore, muta ritmo e cadenza. Lo possiamo infatti definire il nostro laboratorio sperimentale». indiscusso protagonista è il pane di Matera: ogni tavolo ha la sua piccola forma e il carboidrato principe trova la sua collocazione in diversi piatti, per esempio “ricordi d’infanzia”, con pane, zucchero, gelato di latte mantecato con aceto balsamico e crosta di pane croccante. Ma non possiamo non parlare dei salumi lucani: «Ogni anno alleviamo il maiale e li produciamo noi stessi. Il diamante delle nostre carni lavorate è la soppressata, ricavata esclusivamente dal filetto del maiale a cui si aggiungono grasso, sale e pepe, è la parte più rappresentativa della nostra tradizione. Vengono custodite per raccontare una storia: la storia di ogni famiglia lucana».
Cultura e tradizione di una terra magica e antica, che trovano massima esaltazione nella memoria di un territorio ricco e sapiente.
Tratto da: Da Paestum a Matera di Marco Polizzi - IS n°33