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Il pomodoro nella cucina italiana: La storia, parte II

La storia del pomodoro dal '900 ad oggi: le varietà più antiche, quelle regionali, il successo nella cucina d'autore
Storia del pomodoro... Dalla metà del ’900, con il perfezionarsi delle tecniche di trasformazione e l’avvio della coltivazione di pieno campo, la produzione e l’esportazione italiane sono ai vertici mondiali. Per la sua ampia diffusione, può essere considerato il simbolo dell'orticoltura nazionale. Oggi la coltivazione del pomodoro destinato al consumo fresco, da mensa, per pelati, concentrati e succhi è diffusa in Campania, Emilia Romagna, Lazio, Puglia e Sicilia. Viene coltivato con successo su grandi superfici per produzioni destinate all'industria o al mercato fresco, ma anche nei piccoli orti familiari e persino in vaso sui terrazzi di città. E non c’è piatto che non esca valorizzato dalla presenza della gustosa bacca: dall’insalata classica all’altrettanto tradizionale salsa, dalla pizza alla focaccia, dalla zuppa al risotto, dal gratin alla grigliata, fino al succo da consumare condito con sale, pepe, limone e origano… Un patrimonio di varietà antiche L’amore antico degli Italiani per il pomodoro si è tradotto nei secoli in una molteplicità di cultivar - se ne calcolano circa 320 - diverse da regione a regione, che non ha uguali nel mondo. Ci si riferisce solo a quelle autoctone e tradizionali e non alle varietà ibride moderne, risultato degli studi di genetica del ’900, da multinazionali estere: sono le cultivar coperte da brevetto, coltivate in forma intensiva per soddisfare le richieste della GDO o dell’industria di trasformazione. Fu Luigi Trentin, direttore della Scuola orticola al Lido di Venezia, a effettuare, nel 1903, la prima classificazione in Italia: distinse le cultivar da conserva (caratterizzate da pomodori a maturazione tardiva, dal frutto grosso, liscio e senza coste), quelle da consumo fresco (frutti con succo abbondante e maturazione più precoce) e quelle conservabili per l’inverno (bacche piccole e sode, spesso riunite in grappoli). All’inizio del ‘900 avvenne l’ibridazione naturale tra le varietà “Fiascone” e “Fiaschella”, coltivate in Campania, che originò il pomodoro perino, poi codificato nell’antica cultivar “San Marzano”, di cui però oggi rimane solo una lunga sequenza di ibridi. Sempre all’inizio del ’900, l’arrivo dall’America del Nord di nuove tipologie a frutto grosso, come “Rosso Grosso Costoluto”, permise di ricavare le nostrane “Genovese”, “Nizzardo”, “Riccio di Parma” e “Riccio Romagnolo”, sempre a frutto grosso e costoluto. Oggi è impossibile descrivere tutte le tipologie presenti in Italia, alcune delle quali sono molto simili tra loro anche se nate in regioni diverse. Ci si limita solo a ricordare quelle a forma tondeggiante come gli insalatari, il tondo liscio a grappolo e il ciliegino, e le allungate, come il tipo San Marzano, il perino e l’ovale a grappolo. È meglio invece concentrarsi sui più famosi ecotipi locali antichi - una ventina - che assumono la denominazione del luogo di origine e diffusione e che ancora sono presenti sul mercato come pregiate produzioni di nicchia. Alcuni di questi però sono ormai relegati agli orti familiari e quasi irreperibili anche sui mercati locali. Per salvare gli antichi ecotipi in via d’estinzione sono stati avviati programmi di recupero a vari livelli, al fine di conservare e riprodurre le sementi e migliorare le caratteristiche qualitative della pianta, per adattarle ai diversi ambienti di coltura e renderle resistenti ad alcuni dei più diffusi parassiti del pomodoro, mantenendo però inalterata la tipicità del gusto e degli altri principali caratteri qualitativi.
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