Perché una città come Milano, dove la prima spiaggia dista due ore di macchina e il primo lago pescoso almeno una, ha il più grande smercio del pesce d’Italia e, forse, d’Europa? Come - e quando - è successo che la pesca si sia riversata in un edificio in piena pianura?
La storia del mercato
Come racconta Margherita Zermini della ACE s.r.l, una delle maggiori attività di vendita all’ingrosso del pesce a Milano, già il suo bisnonno partiva dal Lago di Garda i suoi pesci poggiati su ghiaccio alla volta della grande città, dove era da poco sorto un grosso Mercato del Pesce. Era l’inizio del ‘900 e si dormiva stipati in camere anguste pur di vendere il proprio pesce qui. I pescatori, soprattutto dei vicini laghi già utilizzavano il Mercato del Pesce milanese come maggior snodo commerciale. Quindi accettavano di vivere in città diversi giorni, tutti insieme, per risparmiare.La struttura e l’utilizzo di questo mercato come snodo nevralgico e irraggiungibile rispetto agli altri la si deve agli anni del fascismo: è in questo momento che nasce una vera e propria esigenza di mura specifiche per il commercio del pesce. L’altro motivo principale, anzi il motivo principe del successo del mercato milanese è la vicinanza con l’aeroporto: gli anni ’80 e ’90, grazie agli spostamenti delle merci in volo, sono stati gli anni di consolidamento assoluto nella supremazia della vendita ittica. Spostamenti rapidi e a prova di freschezza, di tonnellate di pesce. I camion hanno fatto il resto.
Un mercato unico
Una delle differenze sostanziali tra il mercato del pesce di Milano e gli altri mercati ittici italiani sta nell’assenza di cooperative. Da sempre. Una cooperativa di pescatori porta l’asta a essere più equa: ciò che viene pescato verrà battuto uguale per tutti, indipendentemente dal peschereccio che l’ha catturato. Invece l’enormità del Mercato del Pesce milanese unita alla straordinaria varietà di pesci provenienti da ogni dove porta a settorializzare e specializzarsi. In poche parole, ognuno pensa per sé.
Un affare da veterani
L’asta vera e propria comincia alle 3 del mattino. Una volta si faceva a voce, si urlava a squarciagola, oggi non più. Fino alle 5.30 la caccia al pesce migliore – o a quello più economico- è apertissima. Quando c’è una certa quantità di pesce in sovrappiù, i prezzi cambiano repentinamente e, talvolta, drasticamente. Chi sa il fatto suo arriva a mezzanotte, orario di scarico e controlla che pesce c’è e su quale plateatico va a finire, cominciando a memorizzare provenienze e prezzi all’inizio dell’asta. Il nonno di Margherita Zermini, per esempio, era famoso per ricordare 200 prezzi diversi, per poi colpire al momento giusto.
Un affare da veterani
L’asta vera e propria comincia alle 3 del mattino. Una volta si faceva a voce, si urlava a squarciagola, oggi non più. Fino alle 5.30 la caccia al pesce migliore – o a quello più economico- è apertissima. Quando c’è una certa quantità di pesce in sovrappiù, i prezzi cambiano repentinamente e, talvolta, drasticamente. Chi sa il fatto suo arriva a mezzanotte, orario di scarico e controlla che pesce c’è e su quale plateatico va a finire, cominciando a memorizzare provenienze e prezzi all’inizio dell’asta. Il nonno di Margherita Zermini, per esempio, era famoso per ricordare 200 prezzi diversi, per poi colpire al momento giusto.
La crisi dei mari ha portato a due fattori, legati tra di loro: c’è meno pesce, ma più richiesta. Si è passati da un 12% a un 23% pro capite. La soluzione? Il pesce d’allevamento. Ecco perché la maggior parte del pesce venduto da queste parti è allevato e, perlopiù, estero: salmoni, polpi, vongole e ostriche.
Non c’è una cultura adeguata sul pesce da parte del consumatore, che ancora considera il branzino come uno dei pesci più pregiati e versatili. Insieme all'orata, alla ricciola e alle conchiglie è il pesce che più incarna l’allevamento ittico italiano.
La filosofia personale di Margherita, il suo modo di vedere il mare e i pesci, passa dalla semplicità e quando qualcuno non solo si affida a lei, ma decide di fare un discorso qualitativamente diverso, è ben felice di sedercisi a un tavolo e fare discorsi costruttivi. Un dei rapporti più interessanti in questo senso è quello con Daniel Canzian.
Daniel Canzian
Lo chef del ristorante “Daniel” ha deciso di mettere in carta sì il pesce, ma quello di lago. Milano non ha dei corsi d’acqua pescosi, ma il lago è quello che più si avvicina, così come fiumi e torrenti.
Una delle ricette a cui Daniel Canzian è più legato, è quella del “Lavarello Saltimbocca”. Il concetto alla base è dare struttura a un pesce dal sapore più delicato: quindi perché non esaltare la sua dolcezza con la sapidità di un prosciutto crudo? Accompagnato da indivia fatta rosolare insieme, esce anche la nota amara vegetale che ne dà una struttura solida e un piatto più che godereccio. Milano è la capitale del pesce, forse anche della ristorazione di mare, ma la maggior parte dei locali è pronta a servirvi quasi esclusivamente gamberetti, branzini e salmone. Langosteria
Un caso unico ai tempi, che ha fatto da apripista nella ristorazione milanese è quello di Langosteria. Prima che Langosteria approdasse sulla scena, la cucina di pesce era di stampo tradizionale: parliamo di risotti ai frutti di mare e anelli di calamari fritti. Loro hanno invece avuto la visione di un ristorante di pesce innovativo in termini di prodotti, cotture dirette e, soprattutto, presentazione del piatto. Lì dentro si possono gustare tra i crudi migliori di Milano oltre che pesci che altrimenti non vedreste da nessun’altra parte in città, cotti alla perfezione. «Quando abbiamo iniziato, Milano aveva una cucina tradizionale di mare», mi spiega Enrico Buonocore, uno dei soci di Langosteria.
Dal prodotto si passa alla ricerca, e grazie alla ricerca costante sono arrivati a essere “IL” ristorante di pesce di Milano. Dal 2007, con l’apertura in via Savona, oggi Langosteria conta quattro locali e un King Crab leggendario. Osaka
Il sushi a Milano è ormai diventato pietanza tradizionale. Negli anni, di ristoranti di sushi ne sono sorti a decine, anche se oggi la tendenza si è affievolita. Tra i grandi di Milano c’è Osaka, dove lo chef Ikeda, originario di Akita, dopo una scuola di cucina in Giappone vola verso la Francia e, nel 1999, a Milano dove da allora tiene le redini del ristorante.
Ma non di solo sushi vive Osaka, anzi. E uno degli ingredienti maggiormente usati è l’anguilla: «l’anguilla italiana mi piace moltissimo. È grassa al punto giusto e si presta perfettamente a ricette che prevedono salse giapponesi come la salsa kabayaki. I miei fornitori appena trovano qualcosa di interessante me lo sottopongono immediatamente. Ecco cos’è la fiducia».Il pesce di Milano è il re dei pesci italiani. Il caso spiegato di un mercato attivo, attivissimo, dove tutto convive insieme. Qualità, economia, prezzi stracciati, luxury, ogni cosa ittica a cui possiate pensare. Che lo vogliate o no, da queste parti il commercio del pesce è affare serio, con i suoi pregi e i suoi (tanti) difetti.
Tratto da "Anatomia di un piatto" di Andrea Strafile, IS n°34 Foto di Marco Menghi