Il contorno pugliese: anima e spirito "contadino"

Erbe selvatiche a tavola: benvenuti nella Puglia rurale, quella del Tavoliere, della Murgia, del Gargano.
Le erbe: possono sembrare solo un abbellimento, ma in realtà svelano storie di contadini e di piatti d’alta cucina, che si intrecciano a quelle dell’azienda Spirito Contadino, che sta riportando in auge il rispetto totale per i vegetali antichi e moderni. Tra passato e presente, i ricordi di quattro cuochi che raccontano le proprie erbe del cuore.

Domenico Cilenti, del ristorante Porta di Basso nel Gargano, parte da una memoria di quando era ragazzino: «Peschici è il paese dei capperi, che crescono in posti incredibili, raggiungibili solo a piedi o a dorso di asini, un’avventura che affrontavo sempre anche io con mio nonno. Venivano colti prima che fiorissero, piccoli piccoli, con un diametro preciso per essere poi messi sotto sale o in salamoia. Raccoglievamo anche le foglie tenere: hanno un sapore amaro che si sente immediatamente, ma poi sparisce, come una scossa veloce». I ricordi di quell’esperienza muovono i gesti che lo chef compie oggi, come il foraging delle erbe, attingendo dal Gargano, “la Montagna del Sole”, che scende da 1100 metri al livello del mare. Nascono così piatti con erbe selvatiche, come l’Ostrica in tempura al nero di seppia con barbabietola marinata e fiore di lampascione, dal colore viola intenso e con una nota terrosa, oppure la Panzanella di tonno o ricciola con finocchietto e buccia d’arancia. Chef Cilenti aggiunge: «Unisco prodotti cercati da me con verdure altrettanto naturali ma coltivate. Trovo erbe ottime e pratiche, senza spreco, dal sapore pulito e intenso. Così è nata la Seppia appena scottata con salsa agrodolce, melanzane, cime di rapa, origano fresco e foglia di cappero». Un buon pugliese non può non volgere pure lo sguardo al mare: verso maggio infatti lo chef si reca spesso a procacciare la salicornia o il cripto (finocchio di mare), cercando direttamente sui sassi costieri, che profumano veramente di Adriatico.

Domingo Schingaro, chef a capo del complesso di Borgo Egnazia a Savelletri, ha “il mare dentro”, essendo figlio di una famiglia di pescatori di Bari. Racconta: «Non ho una tradizione contadina, ma ricordo bene la raccolta della camomilla selvatica, la prima erba che ho saputo riconoscere. Veniva messa a essiccare sui telai usati per le orecchiette, sul balcone di casa, e poi la usavamo come infuso». Proprio la tecnica dell’infusione ha fatto esclamare “Eureka!” a chef Schingaro, permettendogli di creare un pre dessert unico nel suo genere. «C’è un’erba che cresce solo sulla Murgia: si chiama acino pugliese. Somiglia al timo, ma ha un gusto mentolato. I pastori la usavano per un infuso rinfrescante, che dava loro sollievo nelle assolate giornate in cui erano col gregge al pascolo». Domingo ha trasposto una tradizione e un gesto, facendo diventare il tè dei pastori una kombucha a base di acino pugliese, servita in abbinamento alla portata "Anguria, pomodoro e oliva cellina" per passare dalla parte salata a quella dolce del pasto. L’uso delle erbe è comunque molto presente in tutti e sei i ristoranti di Borgo Egnazia. Domingo Schingaro ama usare i senapati, i germogli di papavero, i lampascioni e i sivoni (colonne portanti del suo “piatto firma” Gnumareddi, lampascioni e sivoni). In estate si rifornisce di erbe abbattute e conservate in atmosfera protetta poiché la terra è troppo arida e certe colture non sbocciano. Usa, specialmente in trattoria, erbe miste e cicorie selvatiche per l’antipasto (crostone di pane con erbe stufate), per dei ravioli o come contorno.

Le nostre erbe pugliesi hanno compiuto un “cursus honorum” di spessore, passando dalle tavole contadine all’alta cucina, con un intermezzo nelle osterie e trattorie. Antonella Ricci lo sa bene, con il locale “Ricci Osteria” a Milano e il ristorante storico “Al Fornello da Ricci”, a Ceglie Messapica, nell’entroterra della Valle d’Itria. Quest’ultimo è temporaneamente chiuso e funge da campo base per un nuovo segmento: gli eventi. La nostra chef ha pensato bene di usare le erbe per diversificare la proposta dei piatti serviti ai banchetti, sottolineando che è molto comodo ricevere la cicoria o le cime di rapa tutto l’anno, delicatissime da trasportare, già abbattute, pronte subito da cucinare. Non manca comunque la voglia di andare a caccia di quelle selvatiche: è una tradizione di lungo corso, cominciata con la nonna. «Qui siamo fortunati: è tutto un fiorire di aromi e colori, dalle tante tonalità di verde. Origano, rosmarino, menta sono le erbe più comuni, per poi passare alla mortella o mirto: viene usato per la concia delle olive celline, insieme al finocchio selvatico e all’alloro, da mettere in salamoia». Prosegue Antonella: «La saggezza degli anziani contadini mi ha insegnato a riconoscere che il cardo selvatico, una pianta molto spinosa ma che è in realtà gustosissima: va mondata bene la costa dalle spine e poi lessata. In primavera è molto comune ed è ottima arraganata (gratinata) oppure bollita, con la pasta fresca o le uova, così come l’asparago selvatico, alto e sottile, difficilissimo da vedere perché si mimetizza abilmente tra le altre piante».

La biodiversità pugliese è davvero infinita e il merito va anche alle distanze, in una regione che attraversa quattro microclimi diversi. L’ultimo cuoco che andremo a raccontare si trova quasi in posizione baricentrica rispetto alle località viste prima. Stiamo parlando di Pietro Zito, il contadino diventato cuoco, o viceversa, visto che il legame tra terra e fornelli è qualcosa di unico per lui. Le erbe, che oggi sono quasi una moda per alcuni, ricordano un passato di fame e fatica, tanto che erano il principale companatico per i contadini. Inizia Zito: «Un pugno di farina per impastare le orecchiette e una manciata di erbe spontanee come cicoriella selvatica di campo e diplotaxis avevano addirittura spinto, durante la grande crisi energetica del 1973, alcuni operai della Fiat a tornare in Puglia, loro terra d’origine». Pietro è nato in mezzo alle campagne e con l’esperienza di una vita riesce addirittura a distinguere che grado di forza aromatica e sapore possa avere un’erba, a seconda di dove nasce: «Prendiamo il finocchietto selvatico, che si coglie a maggio. Se nasce nel parco dell’alta Murgia, viene definito “seme di Murgia”. È forte e intenso, aromatizza le olive e viene messo nei taralli. Se lo si raccoglie vicino ai terreni coltivati, allora diventa “fenecchiastro”: è più delicato, avendo perso quella aggressività propria del clima della Murgia. Quest’ultimo si usa per la cottura delle carni, proprio perché è meno invasivo». Zito possiede un orto gigantesco e quindi gode di una produzione propria di erbe “a metro zero”, e le usa tutte nel suo locale Antichi Sapori di Montegrosso. Nel momento del bisogno però riesce ad avere tutte le erbe che vuole, grazie alle diverse varietà coltivate e poi abbattute rispettando la catena del freddo. Oggi quindi è possibile far arrivare le primizie della terra di Puglia anche all’altro capo del mondo; le distanze che citavamo prima si annullano così, di fronte all’ingegno di chi coltiva la terra con amore e rispetto, e di chi le usa per cucinare una nuova alta cucina contadina.

Uno spirito verde, libero e contadino
Tra le tante masserie, di cui alcune abbandonate che sembrano abitate solo da fantasmi, spicca quella operosissima dove Spirito Contadino ha posto la sua sede. Siamo a Borgo Tressanti, ai piedi del Gargano, non a caso in campagna. Antonio Gervasio, orgogliosamente contadino da tre generazioni, ha capito che “il futuro sta nel passato”: la sua missione è quella di riportare alla luce la tradizione e la cultura culinaria contadina (non ha caso è stato scelto questo “nome parlante”). Per farlo, la famiglia Gervasio è tornata a coltivare tantissime verdure tipiche del Tavoliere delle Puglie, riscoprendone ben 32 specie: parlando solo delle erbe si annoverano borragine, cicoriella selvatica, cime di rapa, friarielli, marasciuoli e mugnuli selvatici di campo, rosette fogliari di papavero, senape selvatica… Nel 1989 hanno aggiunto le competenze alimentari a quelle agricole, analizzando le verdure per gusto, colore e proprietà nutritive. Di fronte al desiderio di rendere più longevi i vegetali coltivati, si è optato infine per la conservazione con la tecnica del freddo, dapprima meccanica e oggi con la surgelazione criogenica, che non ossida la verdura e permette di conservarla fino a 24 mesi. La famiglia Gervasio non parla di processi produttivi, ma di una storia di vita vissuta, essendo ancora fondamentale ed elevata la componente umana e manuale nelle fasi di lavorazione. Il “chilometro sottozero” funziona così: arriva la verdura dal campo (colta al massimo un’ora prima), viene mondata per togliere le parti di scarto, poi lavata, cotta brevissimamente per abbattere la carica batterica ed enzimatica, e infine abbattuta. Quando uno chef riceve la confezione di verdura, essa è già pronta per essere usata, cioè per andare in padella. L’obiettivo di Spirito Contadino è uno, granitico, immutabile: la biofilia. Ovvero vivere in simbiosi con la natura, amandola e conservandola al meglio. E renderla disponibile ai cuochi migliori.

"Il contorno pugliese" di Luca Farina in collaborazione con "Spirito Contadino", nel n°44 di ItaliaSquisita

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