Il coraggio di rompere gli schemi. Nel farlo, la presa di coscienza delle proprie capacità e dei propri limiti. Così possiamo condensare in poche righe il cuore di un progetto come Fire Soul, il ciclo di sette cene per sette chef in omaggio all’universo brace e fuoco lanciato da Matteo e Riccardo Vergine, titolari di Grow Restaurant.
Siamo ad Albiate, a pochi chilometri dalla metropoli lombarda, in un centro abitato che apparentemente non si direbbe così pronto ad accogliere un simile progetto e invece, mai lasciarsi ingannare dall’apparenza. Dal primo appuntamento è stato il tutto esaurito per questi giovani fratelli imprenditori, che hanno scelto di mettersi in gioco e di farlo partecipando, sin dall’inizio, a un campionato diverso. Andando a cercare indirizzi e progetti di ristorazione lontano dagli standard tradizionali, fuori dalle classiche logiche commerciali, con proposte fortemente cariche di personalità, territorialità e individualismo. Da settembre a febbraio, attraversando Danimarca, Svezia, Faroe Islands, Spagna, Portogallo e Gran Bretagna, Fire Soul porta in tavola menu estemporanei, creati a più teste e più mani dai team delle rispettive cucine che imparano a conoscersi.
«In genere gli ospiti arrivano il giorno prima della cena e facciamo un lungo brief con tutto lo staff. Nei mesi precedenti si è lavorato ad un canovaccio di percorso, individuando alcuni piatti cardine da parte del locale invitato ma poi ci sono molti aspetti da affinare nel momento in cui arrivano sul posto e prendono confidenza con il luogo» ci racconta
Riccardo, maitre e sommelier.
«Ad esempio, ci sono state occasioni dove con la nostra cucina siamo dovuti andare necessariamente a smorzare proposte di piatti molto estreme e spinte di sapori, per preservare il cliente finale. Altre volte, invece, ci siamo divertiti a creare una proposta più in linea con il nostro lavoro e capace di dialogare in modo attivo con i piatti proposti dai guest» aggiunge
Matteo, lo chef. In occasione della visita di
Ekstedt Restaurant, locale che ha fatto della brace il suo linguaggio, è stato particolarmente dinamico vedere – e provare! – il botta e risposta delle due cucine. Materie prime agli antipodi si sono alternate in un botta e risposta dove il fuoco è stato sempre protagonista ma mai in modo presuntuoso. Un inizio deciso, grazie alla chiamata a piccoli gruppi di tutti i commensali in cucina, per mangiare (appena cotta), l’ostrica al Flambadou. Si tratta di un cono in ghisa rovesciato, collegato a un’impugnatura di metallo, progettato per riscaldarsi fino a quando è incandescente. Al suo interno, viene riposto il grasso del maiale o il sego di manzo, che a contatto con il cono esplodono in fiamme, si trasformano in liquido e sgocciolano sull’ingrediente scelto, in questo caso l’ostrica. Nel libro Food from the Fire: The Scandinavian Flavours of Open-fire Cooking,
Niklas Ekstedt – founder del ristorante – riporta una ricetta analoga, dove però il condimento dell’ostrica è diverso dal beurre blanc usato in questa occasione. Molto riuscito l’esercizio della verza in conserva alla brace proposta con una colatura di salame, in una fantasia di ricetta che ricalca la tradizione della cassoeula.
A seguire, latte affumicato con cipolla e caviale (Ekstedt), colombaccio con farcia di selvaggina, fagioli, senape e cavolo nero alla brace (Grow), per continuare con uno scampo cotto in alghe di mare e sedano rapa (Ekstedt) – con masticazione da manuale – e gnocchetti alla brace. Referenza decisamente impegnativa quest’ultima, grazie all’unione di carne di daino e stracchino alla brace. A cappello di questa serata, l’autunno. Una sorta di leitmotiv nella sequenza di portate, con i suoi colori e i suoi sapori che non mancano nemmeno nel dolce, pensato appunto un soufflé ai funghi porcini, abete e mirtilli. Fire Soul è dunque più attività insieme, umo scambio di gusti, stili, idee che costruttivo per i team coinvolti, formativo per il palato del cliente abituale e, finalmente, capiente di contenuto. A differenza di chi opera con i mezzi ma senza un principio e un obiettivo su cui atterrare, qui abbiamo un contenuto, delle ambizioni e un percorso di crescita molto chiaro in mente. Un plauso a Matteo e Riccardo i quali, progetti estemporanei a parte, meritano una visita.
Di Chiara Buzzi
Ph. Lido Vannucchi