Fin da piccolo, ha bazzicato il laboratorio di nonno Attilio col fratello. «Ci dava un po’ di pasta frolla e noi facevamo una tortina con la crema pasticcera». Intelligente e curioso ha rubato gesti e liturgie ai collaboratori pâtissiers.
«A 11 anni aiutavamo papà a coprire i cioccolatini». Ma l’attività di famiglia è totalizzante. «Anche in vacanza la tappa era visitare qualche pasticceria!» In cerca di vocazione Giacomo resta defilato.
La svolta arriva alla vigilia della laurea in Scienze e Tecnologie Alimentari con uno stage all’École du Grand Chocolat Valrhona a Tain l’Hermitage. Il fondatore è il gurudei cioccolatieri Frédéric Bau.La possibilità di sperimentare gli fa capire che questa è la sua strada e nasce la passione.«Partivo dalla fava di cacao fino ad arrivare al cioccolato finito».Prove, esperimenti ed errori, per Giacomo, sono generativi.«Conoscere un ingrediente, vedere come si comporta, imparare cosa c’è dietro mi ha sempre affascinato».Il continuo confronto con Frédéric Bau alza l’asticella e lo motiva a continuare. A maggio 2017 vola in Spagna dal pastry chefJordi Bordas che lo inizia a una nuova idea di pasticceria, senza grassi e zuccheri. Frequenta poi i laboratori di Oriol Balaguer e di Yann Duytsche che gli aprono la mente e lo sottraggono alla sua comfort zone.«Se fossi sempre rimasto a lavorare a casa mia senza vedere altro, non l’avrei mai apprezzato».Le influenze salutiste di Bordas lo ispirano per la barretta energetica Slim Sweetness a base di farina di grillo, caffè, cipolla bianca, zenzero, cocco e lime con cui vince, nel 2017, il Dolce del Futuro Award.
È un modo per affermare la propria identità ed essere se stesso al di là del nome del padre. Nel 2018 gli viene affidato il reparto dei lievitati e questo tira fuori la sua vera essenza di pasticcere. Con il suo Straciock arriva terzo al concorso del Miglior Panettone al Cioccolato. Si ritrova a gestire il forno storico a mattoni refrattari che, in 80 anni, non si è mai spento e che dona agli impasti morbidezza e aromaticità grazie a una cottura dolce e omogenea. Persino Motta e Alemagna hanno fatto qui le prime proveper la produzione industriale dei loro panettoni. «In cantina conserviamo ancora i pirottini che hanno usato». Da un lato il forno storico e dall’altro il nuovo che avanza. Giacomo sente finalmente di poter ricevere l’investitura e portare avanti l’attività. Per l’occasione crea La Sesta, una torta esagonale al cioccolato, pistacchio e lampone che richiama la forma delle piastrelle d’epoca del laboratorio e dà il via alla sesta generazione Besuschio. La sua. Quella sulla quale nemmeno lui avrebbe scommesso. E invece. Se fosse un dolce sarebbe una Sacher, ma quella che fa lui nella sua pasticceria di famiglia perché ha un cremoso di cioccolato all’interno, ad alto tasso di endorfine. Classe 1993, Giacomo Besuschio è un figlio d’arte, ma non un figlio di papà.
I suoi sono pasticceri dal 1845 in quel di Abbiategrasso e, con lui, siamo alla sesta generazione. Ha fatto cose, visto gente (soprattutto laboratori) per poter affermare la propria identità al di là del nome che porta. E ci è riuscito.
Estratto di Giacomo Besuschio di Cinzia Passera, n° 38 di ItaliaSquisita