Fermentazioni: culture e colture

Una pratica antica e ora molto contemporanea, un imperativo biologico che dona vivace fermento alla creatività di professionisti e amatori del panorama enogastronomico.
Una parola inglese che si presenta spesso nel campo tecnico della fermentazione, ricoprendo perfettamente tutti i livelli di significato, è culture. In microbiologia si chiamano culture gli starter che si aggiungono a determinati ingredienti per avviare qualsiasi tipo di fermentazione; mentre per “cultura” si intende tutto ciò che l’uomo cerca di trasmettere di generazione in generazione. Analogamente alle colture microbiologiche, che esistono solo sotto forma di comunità, allo stesso modo si comportano le culture umane. Una pratica antica quanto il mondo che ha accompagnato l’uomo sin dalle prime fasi della sua evoluzione, da prima come alternativa al deterioramento dei cibi, fino ad arrivare al pieno governo dei processi tramutando la fame, e le ansie di penuria, in puri momenti di piacere gustativo. Gli alimenti fermentati esistono da sempre: dai più comuni, come il pane, i vini, i formaggi, il cioccolato e le bacche di vaniglia, fino alla salsa di soia, il kombucha e il kimchi, una categoria di ingredienti “nuovi” per l’Italia ma che fanno parte di una storia millenaria. Possiamo quindi azzardare a paragonare la fermentazione, per importanza e per ancestralità, ad esempio all’uso del fuoco da parte degli uomini? Entrambe sono azioni umane che in ambito alimentare e gastronomico hanno permesso alla nostra specie di conservare il cibo più a lungo, renderlo più sano e imprimere nuovi gusti agli ingredienti. Come per la scoperta del fuoco, anche per la fermentazione non si sa chi sia il cuoco Prometeo della situazione, e questa non è di certo la sede per indagare. Chiediamoci piuttosto: a che punto è la fermentazione oggi nell’alta cucina italiana?

Un’eccellenza italiana della fermentazione: Aceto Balsamico Tradizionale di Modena DOP
Tra i nobili fermentati italiani l'Aceto Balsamico Tradizionale di Modena risuona nell'eco della cultura e della cucina tradizionale da secoli, sebbene sia stato innalzato al rango di DOP dalla Comunità Europea soltanto nel 2000. È un condimento che si ottiene da uve selezionate, tutte provenienti da vigneti iscritti alle DOC, prodotte e vendemmiate in provincia di Modena (Lambrusco, Trebbiano, Ancellotta, Sauvignon). La successiva cottura del mosto è un rituale lento e meticoloso, condotto in caldaie a cielo aperto, alimentate da fuoco diretto. Questa fase concentra e trasforma gli zuccheri del mosto, conferendo all'aceto la sua distintiva dolcezza. Segue il processo di parziale fermentazione del mosto cotto, guidato dai lieviti e fermenti naturali, e quindi la lenta acetificazione che comincia all'interno delle "botti madre", dove tutto l'alcol si trasforma in acido acetico grazie agli Acetobacter, con un lento processo di ossidazione.
Attraverso progressive e pazienti concentrazioni, e “travasi”, in botti a batteria scalare, il prodotto evolve nel tempo, impiegando almeno dodici anni per dare origine alla sua complessità organolettica. Un autentico gioiello culinario, completamente artigianale, simbolo dell'eccellenza fermentativa italiana nel panorama mondiale [...]

Estratto di "Fermentazioni" di Sidorela Lukaj su ItaliaSquisita n°48

Credits: Vincenzo Moraca, Alberto Blasetti, Carlo Nesler, Federico Pasian, We Are Factory, Consorzio Aceto Balsamico Tradizionale di Modena

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