Da quando ha aperto il suo D’O, ormai più di vent’anni fa, lo chef Oldani ha sempre avuto lunghe liste d’attesa, anche di due anni, con il telefono che squillava ogni sette secondi.
Davide Oldani è unico nel panorama dell’alta ristorazione italiana: è di sicuro uno degli chef più concentrati su di sé, sulla propria immagine e sulle sue poliedriche attività, ma allo stesso tempo è uno dei più grandi “osti” della storia gastronomica stellata. Oste nel senso contemporaneo, un termine “antico” ma che in questo caso diventa attuale, poiché si traduce nella fusione di due culture e figure ben precise: da un lato quella del grande chef francese, a capo di una maison ristorativa che produce eccellenza gourmet; dall’altro quella di oste italiano, con il super potere di accogliere e di far star bene il commensale in casa propria. Oldani vive la quotidianità di decine di apprendisti cuochi, ingredienti e ricette, ma contemporaneamente incastra interviste, talk e consulenze come pezzetti fosforescenti di Lego in fantasmagorici excel.
Tanto riesce a illuminare la sua immagine comunicativa, così riesce ad annullarla in un millesimo di secondo quando parte il servizio al D’O, come se si frantumasse davanti agli occhi dei clienti, quelli che finalmente possono godersi la sua cucina dopo mesi di attesa.
«Ho frequentato l’istituto alberghiero Carlo Porta a Milano e si può dire che dal mio punto di vista la scuola è parte integrante dell’uomo. Tutto ciò che vediamo e che viviamo a scuola, e a seconda di come l’affrontiamo e di come la interpretiamo, determina il nostro futuro. Oggi, all’Istituto Alberghiero Statale Olmo di Cornaredo, ci sono una vicepreside e un preside molto attenti e intelligenti, che hanno saputo cogliere al volo l’opportunità di aprire una scuola dedicata alla ristorazione e coinvolgermi come mentore all’interno di un progetto di studio focalizzato sulla materia prima. Questo perché in cucina, prima di utilizzare un ingrediente, bisogna conoscerlo a fondo, per poter poi andare a integrarlo. Prima si studia la farina, e solo dopo si passa a fare tagliatelle, pane o ravioli... Insieme abbiamo anche rivisto il programma didattico, per renderlo più attuale rispetto a una scuola alberghiera tradizionale. La ristorazione è in continua evoluzione, e la scuola deve esserne cosciente e presente!».
Qui infatti i ragazzi si fanno tante domande, poiché vedono sui social network la ristorazione che cambia, i nuovi cuochi, le tendenze che mutano ogni cinque minuti; e allora qual è il punto di riferimento? «Innanzitutto, serve la curiosità di sapere. Io sono andato da Gualtiero Marchesi proprio per il mio desiderio di conoscere: vedevo che i ragazzi che arrivavano dai tre stelle francesi avevano una marcia in più, sia a livello di preparazione che di passione. E questa mia voglia di capire perché fossero così “avanti” mi ha portato a chiedere allo chef Marchesi di fare anch’io queste esperienze. Così da lì ho costruito la mia vita culinaria, partendo dall’imparare una cucina classica, come a Le Gavroche a Londra, per poi passare a una cucina più moderna come quella di Alain Ducasse, fino ad arrivare alla pasticceria, tutt’ora molto moderna, di Pierre Hermé. Oggi metto tutto ciò a disposizione dei ragazzi, magari iniziando un nuovo corso». [...]
Estratto di "Davide Oldani" di Carlo Spinelli su ItaliaSquisita 53.
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