Nella ricetta della storica pasticceria partenopea troviamo un gioco di equilibri sia nel rapporto tra arancia, millefiori e liquore sia nell’incontro tra ricotta di bufala, grano e zucchero. La pasta frolla è speciale, Moccia 1936 non usa lievito e i maestri pasticcieri garantiscono l'elasticità necessaria per maneggiare la pasta grazie all'uso sapiente dello strutto al posto del burro, un grasso più neutro che non prevarica sui sapori degli altri ingredienti.
Il ripieno poi, è la cultura di un territorio: la ricotta di bufala, più pastosa e cremosa rispetto a quella di pecora o mucca, mescolata al grano, sprigiona l'odore del neroli, della cannella e delle scorzette d'arancia che avvolgono la crema prima che venga confezionata con strisce di pasta frolla equidistanti. Il segreto è fissarle prima ai lati, per dare alla torta la forma che tutti conoscono.
Un dolce versatile che regala consistenze diverse in base al tipo di cottura, per accontentare i diversi palati: a 200 gradi per 30 minuti se la si vuole umida all'interno o a temperature inferiori per un'ora per una versione più asciutta. Il dolce risale ai tempi pagani, poi «cristianizzato» e identificato con la Pasqua, che cadeva all'inizio della raccolta del grano e quando i fiori iniziavano a sbocciare. Era in quel momento che i droghieri distillavano dai fiori il millefiori, un aroma che rende unico l’impasto. Quella della pastiera è una tradizione che Moccia 1936 tramanda da generazioni, come un rito che torna di anno in anno, con la medesima ricetta di sempre, amata da Papa Giovanni Paolo II, Nino Taranto, Massimo Ranieri, Pupetta Maggio, per augurare fortuna e prosperità.