Cosa sono i vini naturali?

Per parlare dei vini cosiddetti naturali è necessario partire equipaggiati di un buon numero di virgolette. Nessuno degli aggettivi generalmente impiegati, infatti, passa un’osservazione più scrupolosa: se “naturale” - va da sé - non vuol dire molto, anche “artigianale” cozza contro la legge che stabilisce che per i prodotti agricoli non si possa parlare di artigianato. Più facile allora sarà dire cosa il vino naturale non è: “Non è il vino dell’enologo”, prendendo in prestito il titolo dell’autobiografia di uno dei più noti e apprezzati produttori a seguire questa filosofia, Corrado Dottori de La Distesa, nelle Marche.
Il vino naturale si sottrae alle logiche più rigide dell’enologia classica: i vini naturali non sono vini precisi, tecnici, ripetibili identici di annata in annata. Sono, invece, veri prodotti agricoli. Il ruolo di un produttore, allora, diventa fare da tramite tra la natura e il prodotto finito, non più demiurgo ma quasi figura genitoriale: il lavoro è un ascolto, fatto di presenza e sostegno, ma anche di capacità di lasciare che i vini trovino una propria strada.
In Italia, gli anni ‘90 e ‘00 sono appartenuti ai pioneri, mentre oggi i vini naturali stanno uscendo dalla nicchia degli appassionati, anche grazie a un ambasciatore particolare: l’alta ristorazione, che tende sempre più a proporli in carta:
“La nuova generazione di ristoratori punta sui vini naturali perché hanno più personalità e sono più gastronomici, si abbinano meglio al cibo” Maule.

Tra i primi in Italia ad aver creato una carta dei vini completamente “al naturale” c’è Pietro Vergano, sommelier e patron - insieme ad Andrea Gherra - del Ristorante Consorzio di Torino: “Più il vino è senza paracadute, senza protezione, meno è stabile, più il suo comportamento cambia a seconda della temperatura e dell’ossigenazione. Il bello, allora, è proprio stargli dietro. Per me è molto interessante non sentirmi mai sicuro al 100%: viviamo già sempre chiusi dentro una stanza, quindi apprezzo questa componente di incertezza, che è l’incertezza della natura, come la pioggia in campagna. Non capisco chi idolatra la biodiversità nell’orto ma non apprezza il vino naturale”.
Ma come reagisce la clientela? “Quando abbiamo aperto il ristorante, nel 2008, avevamo già l’80% di vini naturali. Il resto era per chi voleva comprare un brand, e non un vino. Ma ci è bastato in fondo credere nei vini che vendiamo - e spiegarli un po’ meglio nel caso in cui non rispecchiano le aspettative di un cliente - per avere la strada spianata. La verità è che chiunque abbia un certo grado di apertura gastronomica è in grado di apprezzarli.

Alessandro Perricone è head sommelier e socio di cinque ristoranti a Copenhagen, tra cui il celebre Relae di Christian Puglisi. La capitale danese non ha una tradizione gastronomica paragonabile a quella italiana, e questo le regala più apertura mentale e maggiore libertà, anche con il vino. È proprio così, infatti, che Perricone descrive le bottiglie che apre per i suoi clienti: “Amo i vini liberi, e questo per me è un concetto mentale: per chi si appassiona al vino, e quindi all’annata, al terroir, alle persone che lo producono, è più interessante lavorare con vini che non sono stati costruiti con in mente un gusto specifico. Lavorare in libertà vuol dire prendere quello che la vigna offre, invece di un vino fatto a priori. E anche nel bicchiere devi sentire la libertà dalle regole e dalla costruzione”.

La sommelier romana Francesca Tradard ha lavorato in alcuni dei ristoranti più hip di Parigi degli ultimi anni: Saturne, Rino e ora Septime. E Il legame con il vino naturale è uno dei elementi più distintivi della formula del gastrobistrot, “perché in comune c’è un’etica di fondo” spiega “e un messaggio di educazione: questi ristoranti scelgono di rifornirsi da produttori piccoli, molto attenti all'ambiente, che lavorano in modo sostenibile. Che si tratti di vino o di barbabietole non fa poi un grande differenza”.
La maturità di questo movimento passa anche da una maggiore severità: “Oggi c'è maggiore discernimento su questo” aggiunge Tradard “i vini naturali possono, è vero, richiedere un po’ di flessibilità, ma questo non significa accettare errori grossolani”.
La “tolleranza zero” verso il difetto basterà per far mettere radici a quella che ancora in molti considerano una moda passeggera? “Dietro a un vino naturale c'è un produttore che si fa interprete di un'esperienza e di una visione” conclude Tradard “e io spero che questo approccio sia destinato a restare, insieme a una sensibilità che porti a lavorare in maniera più pulita sia in vigna sia in cantina”.



(Tratto da “La natura del vino” di Sara Porro, IS#27)

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