L'enogastronomia consapevole ha la sua capitale in una frazione con 90 residenti
Pianetto di Galeata è la piccola frazione di un paese ai piedi dell’Appennino tosco-emiliano, quaranta minuti da Forlì e trenta chilometri dal confine con la Toscana; una via, una chiesa e un’osteria: La Campanara di Roberto Casamenti (e Alessandra Bazzocchi), premiato da Slow food con il titolo di “Miglior Oste d’Italia” nella guida del 2023.
Qui si è svolta la 4° edizione del Festival del Recupero, la principale manifestazione del fitto calendario che l’associazione Tempi di Recupero organizza ogni anno a Pianetto. Alla base delle azioni di questo gruppo di persone eclettico e variegato c’è un decalogo di regole piantato su una visione schietta quanto audace: per consegnare un futuro ai territori periferici serve consapevolezza, sostenibilità e capacità di costruire solide strutture reticolari. È stata la tavola la protagonista di queste giornate romagnole, anzi, le tavole: numerose e capaci di fotografare il presente della gastronomia italiana a trecentosessanta gradi.
Due “cene del recupero”: la prima per valorizzare il ruolo dell’acqua in cucina, ospitata nello splendido chiostro cinquecentesco della chiesa di S. Maria dei Miracoli, con Chiara Pavan, Davide di Fabio e Giorgio Servetto; e la seconda per riscoprire la montagna, nella cornice stellata del ristorante daGorini di San Pietro in Bagno e preparata dal padrone di casa assieme a Michele Lazzarini e Alessandro Dal Degan. C’è stata poi una serata con BBQ d’autore; la cena di cucina circolare tutta Chiocciole Slow Food a La Campanara con Diego Rossi e Sarah Cicolini.
Cocktail, vini, gelati buonissimi, un’interessante zona mercato e momenti di dibattito. Cose buone, pulite e giuste. Bocche e mani che più che essere unte erano ben oliate; svelte e vispe. A Pianetto si fa rete e cibo e vino vengono intesi come strumenti di convivialità, non come insipida prova di tecnica.
Chiudiamo con le menzioni d’onore: l’incontro sulla raccolta di erbe spontanee curato da Alessandro di Tizio, abruzzese trapiantato al Mirazur di Colagreco, nel giardino dell’osteria all’ombra del campanile della chiesa; e il bel Museo Mambrini, visitabile nel borgo e fondamentale per ricordare l’importanza storica e strategica del luogo. Il fascino dell’Appennino è tutto nelle sue tinte più fosche e attraversarlo ad ogni latitudine italiana mostra l’arbitrarietà dei confini regionali e di molte delle convinizioni contemporanee. Alla Campanara ti accolgono con un piatto di pappa al pomodoro e ti raccontano che un secolo fa la zona era Toscana. L’Appennino è meticcio e inaspettato: è pulire l’unto di una pappa al pomodoro con un pezzo di piada fritta.
Francesco Morresi