Roma, da buona capitale, è sempre più cosmopolita, non solo per il turismo, ma anche per l’accoglienza. Un fulgido esempio sorge tra il quartiere ebraico e Largo di Torre Argentina, più precisamente nell’hotel Chapter, che ospita il ristorante Campocori. Il nome deriva dall’antica memoria della chiesa di S. Maria in Campo Cori, demolita da secoli, ma eretta proprio dove c’è ora questo palazzo del 1880. L’ingresso, tra tende e qualche scritta fluo, apre la vista sulla sala, disegnata e arredata dall’architetto sudafricano Tristan Du Plessis, con richiami a New York e Parigi, tra caffè e bistrot degli anni 30. Qui entra in gioco Alessandro Pietropaoli, Executive Chef, classe 1991, perfetto mix tra origini abruzzesi e laziali, ma anche una vera spugna per le contaminazioni, assorbite come un nettare gioioso, dai suoi maestri (Cannavacciuolo, Mollica, Tièche). Il viaggio di chef Alessandro parte sempre col pane, declinato in pagnotta ai cinque cereali e sfogliato al burro, a mo’ di compagni perfetti lungo il menù. Un velo di classicismo e di brace accarezzano il Fegato d’oca di Mortara, rivestito da un gel al mandarino, accompagnato da un filetto di anguilla marinato in stile teriyaki, e le Capesante scottate, servite con funghi al miso. I sapori convincono, grazie anche al perfetto equilibrio delle salse e delle acidità, spesso di origine vegetale. Proprio questi ingredienti svelano una predilezione dello chef verso di loro, raggiungendo vette altissime con lo Spaghetto Antico Romano, condito con la cipolla di Montoro in tre diverse consistenze: un’estrazione, con cui è mantecata la pasta, una polvere di buccia bruciata e un saporitissimo garum. Il palato si scuote, ma poi chiama un’altra forchettata, convinto dalla profonda aromaticità di questa pasta e cipolle contemporanea. Lo stesso avviene per il Risotto con aceto di champagne, pino mugo, coscette di rana fritte e salsa dai-dai ponzu: elegante, aromatico, a tratti balsamico, pensato come omaggio alla tecnica giapponese Kintsugi, che mette insieme più cose con una vena dorata, come Pietropaoli ha unito qui tutti i suoi capisaldi. La stessa filosofia è applicata in Banana, rum e caramello, che si fondono usando addirittura la buccia del giallo frutto, che non sovrasta per nulla gli altri ingredienti. Se ci si pensa, fa quasi sorridere che in un hotel chiamato Chapter si stia scrivendo proprio un capitolo, letteralmente tradotto dall’inglese, di quella che è la nuova cucina romana, grazie a Campocori: origini romane e cosmopolitismo, sempre insieme.
Di Luca Farina
Ph: Alessandro Micarelli e Andrea di Lorenzo