Il percorso gastronomico della birra è oggi più che mai attuale sebbene l’immaginario collettivo l’abbia sempre relegata solo e unicamente al fianco di piatti semplici e veloci. Che sia colpa degli albori della pubblicità dei grandi marchi industriali o che sia “colpa” delle licenze delle pizzerie, che non permettevano la somministrazione di bevande alcoliche oltre gli 8°, non è dato saperlo, ma la birra è stata per molto (troppo) tempo la grande assente nella cucina di ricerca.
Le logiche dietro al pairing a base di birra sono sostanzialmente due, per contrasto e per sovrapposizione, andando così a individuare uno spettro di abbinamenti pressoché infinito, partendo da note fresche e agrumate per arrivare a note tostate e di caramello, passando per i sentori floreali e affumicati. La ratio di partenza è legare intensità cromatica e intensità gustativa: birre chiare per carni bianche, formaggi freschi e pesce, birre più scure con primi piatti, carni rosse e formaggi stagionati. «Un assunto molto semplice - da cui derivano ISAAC e NORA, le prime due creazioni di Baladin - che ancora oggi però vedo non essere stato metabolizzato al meglio» racconta Teo Musso, padre del Birrificio Baladin di Piozzo, dopo più di 25 anni di carriera dedicata alla nobilitazione della birra artigianale. «Nel tempo ho iniziato a proporla a ristoranti della tradizione e osterie con una certa attenzione al vino, per arrivare a varcare le porte dell’alta ristorazione, partendo da una selezione di 500 ristoranti italiani, uno fra tutti il piemontese La Carmagnole del compianto Renato Dominici, dove la birra pian piano ha cominciato ad avere un posto degno». Più di 20 anni fa il pairing con la birra risultava molto più d’effetto, fuori contesto. I commensali erano quasi reticenti nell’ordinare una birra a tavola, sicuramente per mancanza di cultura e costume nel concetto di abbinamento in tal senso. Ma la birra, avendo un’acidità meno spiccata e un grado alcolico tendenzialmente più basso, riesce a conferire al cibo una spinta diversa rispetto al vino, con possibilità di abbinamenti infiniti e complessi, difficilmente realizzabili con altre bevande.
Birra e tradizione
Solitamente si è abituati a cucinare con il vino, senza curarsi troppo della parte acida sprigionata; al contrario il residuo zuccherino di una birra con poco luppolo, o addirittura del mosto, che ha solo la parte dei malti estratta in bollitura, fornisce un bouquet interessantissimo al piatto. Parlando di abbinamenti, si possono esaltare davvero molto i gusti degli ingredienti con una birra: «Dalle referenze acidule per i gamberi alle pepate per il crudo di pesce, dalle acide per il ceviche alle birre con resina e mirra per il carciofo, è fondamentale conoscere il prodotto che si sta usando per non rischiare di rovinare il piatto in cottura o di sbagliare completamente il pairing. Le birre ad alta percentuale di malto, da 8° in su e con poco luppolo vanno bene in cottura, sono perfette per stracotti, arrosti, fondi, preparazioni meditative, così come lo sono le birre scure o le natalizie» racconta Christian Meloni Delrio, corporate chef delle diverse anime ristorative di Baladin. Il limite di consumo della birra è quindi soltanto culturale: basti pensare alla pubblicità di tutte le birre industriali associate alla pizza o all’hamburger. Un trend di consumo “facile e veloce” che oggi svilisce. «Anni fa si vedevano, anche se molto di rado, soltanto le grandi birre fiamminghe nei menu dei ristoranti; oggi i prodotti Baladin sono in carta anche dal tristellato Umberto Bombana in Cina, per citarne uno soltanto». Il consumatore non è ancora del tutto educato in questo senso ma sicuramente si nota un forte cambiamento di paradigma nell’ultimo decennio.
Alta gastronomia del nord Italia
«Prediligo l’uso di birre con note amare in contrasto a sapori più delicati, senza escludere però birre agrumate e speziate che hanno una correttissima continuità di gusto con i crudi. A Casa Perbellini** - racconta lo chef Giancarlo Perbellini - molto spesso usiamo la birra in riduzione o in marinatura, anche in pasticceria, sulla crème brûlée per esempio, andando a lavorare sull’esaltazione complessa della parte amara. Amaro, acido e fermentato sono talvolta presenti come nella Pluma di Iberico scottata, con riduzione alla birra e insalata di spinaci al limone, o ancora nel Petto di faraona glassato alla riduzione di birra e mela verde, in cui si crea un contrasto fra l’acido della mela verde e la parta amara, e piena, della birra ridotta». Nel suo Biscuit alla mandorla, infine, una riduzione lenta di birra chiara conferisce un lieve sentore amarognolo che riporta mnemonicamente alla parte acerba della mandorla stessa.
Alta gastronomia del sud Italia
«Spesso ci dimentichiamo che esistono birre con complessità incredibili, e se non ce ne siamo tanto accorti è anche colpa della poca formazione in sala: questa rivoluzione di consapevolezza gustativa deve avvenire sul campo, bisogna lavorare nell’aiutare la sala a trovare sinergie con il cibo e rendere possibili questi abbinamenti a base di birra» racconta Gennaro Esposito, chef de La Torre del Saracino** a Vico Equense. «Usiamo una birra con sentore di limone abbinata a un piatto con una leggera vena citrica: un risotto con pomodoro cuore di bue, calamaretti ripieni di provola affumicata e limone candito, pairing molto apprezzato da tutti». Indagando sulla cultura campana la birra può facilmente essere accostata alla freschezza della mozzarella, alla dolcezza della cipolla così come all’acidità degli agrumi o ancora all’affumicato o al fritto. «Non vedo limiti, è tutta cultura, bisogna studiare: il cliente sarà soltanto felice di essere guidato sulla scelta e rimarrà stupito dall’esperienza. Ho anche assaggiato delle determinate creazioni di Teo Musso, quasi ossidate, con sfumature che virano sulla prugna o sul fico secco e con un’importante concentrazione zuccherina o altre con una dolcezza perfettamente bilanciata dalla parte acida, in grado di dare freschezza sul finale, potendole quindi inserire anche in pasticceria».
Come un fiume, la birra si insinua nelle valli gastronomiche esaltando sapori semplici o complessi, pietanze fugaci o meditative. Grandi piatti e grandi birre sono quindi un paradigma gastronomico e se Brillat-Savarin diceva il vero, non solo “un pasto senza vino è un giorno senza sole” ma un pasto senza birra è una notte senza luna.
BOX - Made in CARCERE
Teo Musso, da sempre sostenitore della valorizzazione del territorio, ha attivato nel tempo due laboratori sperimentali di panificazione nelle carceri, dove fare ricerca e cultura partendo anche dai sottoprodotti della birra quali lieviti o trebbie del malto. «A breve nel carcere di massima sicurezza di Cuneo inaugureremo anche un orto, sia estivo sia invernale, che ci permetterà di essere indipendenti dal punto di vista dei vegetali, soprattutto per la nostra anima ristorativa».
Le logiche dietro al pairing a base di birra sono sostanzialmente due, per contrasto e per sovrapposizione, andando così a individuare uno spettro di abbinamenti pressoché infinito, partendo da note fresche e agrumate per arrivare a note tostate e di caramello, passando per i sentori floreali e affumicati. La ratio di partenza è legare intensità cromatica e intensità gustativa: birre chiare per carni bianche, formaggi freschi e pesce, birre più scure con primi piatti, carni rosse e formaggi stagionati. «Un assunto molto semplice - da cui derivano ISAAC e NORA, le prime due creazioni di Baladin - che ancora oggi però vedo non essere stato metabolizzato al meglio» racconta Teo Musso, padre del Birrificio Baladin di Piozzo, dopo più di 25 anni di carriera dedicata alla nobilitazione della birra artigianale. «Nel tempo ho iniziato a proporla a ristoranti della tradizione e osterie con una certa attenzione al vino, per arrivare a varcare le porte dell’alta ristorazione, partendo da una selezione di 500 ristoranti italiani, uno fra tutti il piemontese La Carmagnole del compianto Renato Dominici, dove la birra pian piano ha cominciato ad avere un posto degno». Più di 20 anni fa il pairing con la birra risultava molto più d’effetto, fuori contesto. I commensali erano quasi reticenti nell’ordinare una birra a tavola, sicuramente per mancanza di cultura e costume nel concetto di abbinamento in tal senso. Ma la birra, avendo un’acidità meno spiccata e un grado alcolico tendenzialmente più basso, riesce a conferire al cibo una spinta diversa rispetto al vino, con possibilità di abbinamenti infiniti e complessi, difficilmente realizzabili con altre bevande.
Birra e tradizione
Solitamente si è abituati a cucinare con il vino, senza curarsi troppo della parte acida sprigionata; al contrario il residuo zuccherino di una birra con poco luppolo, o addirittura del mosto, che ha solo la parte dei malti estratta in bollitura, fornisce un bouquet interessantissimo al piatto. Parlando di abbinamenti, si possono esaltare davvero molto i gusti degli ingredienti con una birra: «Dalle referenze acidule per i gamberi alle pepate per il crudo di pesce, dalle acide per il ceviche alle birre con resina e mirra per il carciofo, è fondamentale conoscere il prodotto che si sta usando per non rischiare di rovinare il piatto in cottura o di sbagliare completamente il pairing. Le birre ad alta percentuale di malto, da 8° in su e con poco luppolo vanno bene in cottura, sono perfette per stracotti, arrosti, fondi, preparazioni meditative, così come lo sono le birre scure o le natalizie» racconta Christian Meloni Delrio, corporate chef delle diverse anime ristorative di Baladin. Il limite di consumo della birra è quindi soltanto culturale: basti pensare alla pubblicità di tutte le birre industriali associate alla pizza o all’hamburger. Un trend di consumo “facile e veloce” che oggi svilisce. «Anni fa si vedevano, anche se molto di rado, soltanto le grandi birre fiamminghe nei menu dei ristoranti; oggi i prodotti Baladin sono in carta anche dal tristellato Umberto Bombana in Cina, per citarne uno soltanto». Il consumatore non è ancora del tutto educato in questo senso ma sicuramente si nota un forte cambiamento di paradigma nell’ultimo decennio.
Alta gastronomia del nord Italia
«Prediligo l’uso di birre con note amare in contrasto a sapori più delicati, senza escludere però birre agrumate e speziate che hanno una correttissima continuità di gusto con i crudi. A Casa Perbellini** - racconta lo chef Giancarlo Perbellini - molto spesso usiamo la birra in riduzione o in marinatura, anche in pasticceria, sulla crème brûlée per esempio, andando a lavorare sull’esaltazione complessa della parte amara. Amaro, acido e fermentato sono talvolta presenti come nella Pluma di Iberico scottata, con riduzione alla birra e insalata di spinaci al limone, o ancora nel Petto di faraona glassato alla riduzione di birra e mela verde, in cui si crea un contrasto fra l’acido della mela verde e la parta amara, e piena, della birra ridotta». Nel suo Biscuit alla mandorla, infine, una riduzione lenta di birra chiara conferisce un lieve sentore amarognolo che riporta mnemonicamente alla parte acerba della mandorla stessa.
Alta gastronomia del sud Italia
«Spesso ci dimentichiamo che esistono birre con complessità incredibili, e se non ce ne siamo tanto accorti è anche colpa della poca formazione in sala: questa rivoluzione di consapevolezza gustativa deve avvenire sul campo, bisogna lavorare nell’aiutare la sala a trovare sinergie con il cibo e rendere possibili questi abbinamenti a base di birra» racconta Gennaro Esposito, chef de La Torre del Saracino** a Vico Equense. «Usiamo una birra con sentore di limone abbinata a un piatto con una leggera vena citrica: un risotto con pomodoro cuore di bue, calamaretti ripieni di provola affumicata e limone candito, pairing molto apprezzato da tutti». Indagando sulla cultura campana la birra può facilmente essere accostata alla freschezza della mozzarella, alla dolcezza della cipolla così come all’acidità degli agrumi o ancora all’affumicato o al fritto. «Non vedo limiti, è tutta cultura, bisogna studiare: il cliente sarà soltanto felice di essere guidato sulla scelta e rimarrà stupito dall’esperienza. Ho anche assaggiato delle determinate creazioni di Teo Musso, quasi ossidate, con sfumature che virano sulla prugna o sul fico secco e con un’importante concentrazione zuccherina o altre con una dolcezza perfettamente bilanciata dalla parte acida, in grado di dare freschezza sul finale, potendole quindi inserire anche in pasticceria».
Come un fiume, la birra si insinua nelle valli gastronomiche esaltando sapori semplici o complessi, pietanze fugaci o meditative. Grandi piatti e grandi birre sono quindi un paradigma gastronomico e se Brillat-Savarin diceva il vero, non solo “un pasto senza vino è un giorno senza sole” ma un pasto senza birra è una notte senza luna.
BOX - Made in CARCERE
Teo Musso, da sempre sostenitore della valorizzazione del territorio, ha attivato nel tempo due laboratori sperimentali di panificazione nelle carceri, dove fare ricerca e cultura partendo anche dai sottoprodotti della birra quali lieviti o trebbie del malto. «A breve nel carcere di massima sicurezza di Cuneo inaugureremo anche un orto, sia estivo sia invernale, che ci permetterà di essere indipendenti dal punto di vista dei vegetali, soprattutto per la nostra anima ristorativa».