La culla è francese, i cromosomi provengono dalla Calabria e la sensibilità metafisica e speziata scaturisce dall’Oriente. Tre entità concettuali che, miscelate, hanno ben forgiato la filosofia culinaria dello chef Anthony Genovese a Il Pagliaccio di Roma.
Nell’Anno Domini 2003 Anthony Genovese – dopo le esperienze all’Enoteca Pinchiorri di Firenze, a Londra, in Malesia, a Pechino e poi a Palazzo Sasso a Ravello, dove è chef di cucina e stellato – apre Il Pagliaccio a Roma. Fuochi d’artificio per la Capitale: con il suo arrivo la cucina capitolina trova dunque nuova linfa speziata, novelli spunti d’ispirazione, attuali contaminazioni dettati dalla globalizzazione, una palpabile modernità di gusto che strizza l’occhio e il palato al globo terracqueo. Ma a volte, si sa, le novità non vengono intuite subito e pertanto, all’inizio della sua carriera da solista nella città di Romolo e Remo, lo chef si fa portavoce di una certa ribellione in cucina, utilizzando così tante spezie per stupire i clienti fono a essere spesso annoverato dalla critica tra i ristoranti cinesi, indiani o addirittura “etnici”. Ma lui va avanti, imperterrito come un’arma d’assedio, come un ariete che deve sfondare i cancelli mentali della clientela romana: d’altronde l’Oriente o piace subito o proprio per nulla. In Anthony tuttavia l’impatto con la cucina asiatica è stato fortissimo, gli è piaciuta fin da subito: «In questo universo si possono miscelare gli ingredienti e le spezie a proprio piacimento; le verdure poi possono essere malleate più ecletticamente, soprattutto nelle diverse gradazioni di cottura: il broccolo ad esempio si può lasciare assai croccante, a differenza della tradizione italiana che lo fa bollire il più possibile. Alcune spezie inoltre mi hanno dato la possibilità di sperimentare nuove inclinazioni del gusto, come le foglie di kefir, dal sapore finale aspro-dolciastro per le zuppe o le pietanze di carne in sostituzione dell’aceto, oppure l’oyster sauce, che offre la sensazione di agrodolce nella laccatura…».
Splendida splendente la cucina di Anthony Genovese, un’alchimia di graffianti e ammalianti spezie orientali si amalgama alla tecnica francese e agli ingredienti italiani e mediterranei. La cura del dettaglio che piomba leggiadra dal Giappone copula logisticamente con i gusti personali dello chef e del suo background professionale e genetico. Lui non è un tradizionalista, segue le sue origini e il suo percorso, è un cucinante autonomo, ribelle e testardo a cui piace cucinare quello che gli piace. E per questo che piace. Nel 2006 arriva infatti la prima stella Michelin, nel 2009 sopraggiunge la seconda: insieme alla pasticciera alsaziana e gourmet Marion Lichtle e ai due fuoriclasse della sala Gennaro Buono e Matteo Zappile, Il Pagliaccio sta entrando quatto quatto nel soqquadro dell’Olimpo dei ristoranti più importanti del pianeta. In questo luogo d’eccellenza tra i vicoli misteriosi della vecchia Roma si possono assaggiare piatti unici, dettati dalle regole organolettiche delle spezie asiatiche, ma anche creazioni con la ‘nduja, lo stoccafisso, i famosi ziti imparati dal nonno, i tortelli con il finto ragù calabrese, oppure anche il foie gras, le capesante e le ostriche, la burrata, il gelato di scorzanera, l’alga kombu e il grano. «Ho imparato diverse tecniche nella mia vita da cuoco: a Bangkok e in Malesia il taglio del pesce; in Giappone l’eleganza nell’impiattamento, le cotture dashi, la lavorazione delle alghe, del katsuobushi, della soia e del tofu, del miso, le arti del tempura e della frittura; nell’Oriente tutto il concetto dello spicy e del crunchy. La mia cucina è cosmopolita, aperta a tutte le influenze che mi divertono. Non mi piace prendere in giro le persone dicendo che faccio tradizione o che “lavoro” solo le verdure: queste gioiose caratteristiche le lascio rispettivamente a Massimo Bottura e a Enrico Crippa, due grandi esponenti della cucina italiana che hanno ormai incarnato questi due tipi di cucina!». Il Pagliaccio a Roma, in via dei Banchi Vecchi 129: un indirizzo prezioso dove scoprire una piccola Babele cosmopolita di cucina d’autore.
L’intero articolo sul #18 della rivista
Foto di Aromi Creativi