Alessandro Gilmozzi: 35 anni tra boschi, funghi e cucina d’autore

Lo chef di Cavalese esplora il suo rapporto con i funghi, protagonisti indiscussi della sua parabola gastronomica che oggi definisce “cucina dolomitica contemporanea” e lo rende un riferimento dell’autentica cucina di montagna.
Alessandro Gilmozzi è un uomo di montagna. Vive la montagna in una simbiosi che ricorda la natura collaborativa dei funghi e che ci consente di entrare nell’argomento in modo schietto e diretto, in perfetta sintonia con il carattere e lo spirito del cuoco valligiano.

In questo 2025 si celebra il trentacinquesimo anno di attività dello chef: una storia che attraversa con continuità il suo rapporto con la natura, affrontato con l’anima del cercatore-raccoglitore. Basta uscire con lui in una passeggiata nella foresta, osservarlo accarezzare i tappeti erbosi, i cespugli, i germogli; basta seguirlo nell’andirivieni tra le più recondite essenze, per comprenderne l’intimità, e per prepararsi allo spettacolo della sua cucina.

Proprio in questo quadro si inserisce l’ampio capitolo micologico, in quanto il fungo – singolare a motivo di sintesi – è sempre presente nella sua ricerca e nella sua proposta. Perché garantisce un panorama organolettico particolarmente vasto, grazie non solo alla versatilità della singola specie, ma anche alle combinazioni delle tante varietà, così come le differenti trasformazioni, a tratti vere e proprie trasmutazioni. Perché non va dimenticato che Alessandro Gilmozzi, oltre a essere un vigoroso cercatore, è anche – e forse sopra tutto – un instancabile ricercatore.

Il suo piccolo ma attrezzatissimo laboratorio al piano superiore del ristorante El Molin è per sua stessa ammissione un “parco giochi", un rifugio, il suo eremo di creatività più intima.
Una nota sull’antico mulino in cui lo chef ha ricavato il ristorante: quattro o cinque secoli di storia testimoniati dalla pietra a vista, le ripide scale e la ricostruzione interna con il profumato legno di cirmolo, caposaldo della cultura naturalista della montagna per le sue proprietà che aiutano il sonno e la respirazione, oltre a combattere le avversità della vita.

Ma c’è ancora un elemento che rafforza il connubio di Gilmozzi con la natura: le stagionali uscite in valle per cercare e raccogliere funghi. Nella sapienza dello chef – una combinazione variegata di consuetudini popolari, cultura gastronomica e approccio scientifico – il fungo è conosciuto non solo nel suo aspetto più consueto (frutto, gambo e cappella, fuori terra), ma anche come vero e proprio “micobionte”, cioè collaboratore attivo di sistemi complessi come licheni e alghe.

Lo dimostra l’amico Andrea Daprà, “micologo radicale” come lui stesso si definisce, un fiume in piena quando si affronta il tema, vastissimo, del fungo come “regno” della natura nel suo complesso. Comprende milioni di specie, dice, e se l’uomo della strada pensa al fungo solo nella sua forma più culinaria, quello portato in tavola, è limitante: in realtà il fungo appartiene al tutto. La natura dicotomica del fungo – buono e pericoloso – ne accentua poi il mistero, tenendo conto anche del fatto che ne conosciamo solo una parte frazionale. Organismi tra i più efficienti – sanno metabolizzare di tutto – e tra i più efficaci per la loro capacità di entrare in simbiosi con infinite specie, sono in grado di colonizzare i luoghi più disparati, con una varietà di comportamenti che li trasforma in un palpabile emblema della biodiversità.

Allora seguiamoli, chef Alessandro e il “radicale” Andrea, in una sorta di “attenti a quei due” attraverso i boschi della valle, nelle ombre del sottobosco, nei “posti segreti” dei fungaioli. Mentre il micologo apre piccoli squarci in un sapere sterminato, lo chef accenna all’idea che ha portato all’ideazione della ricetta.

«Non mi sono mai dimenticato del “misto funghi” di montanara memoria, in cui in qualche modo si mettevano assieme i ritrovamenti: una cottura indifferenziata che garantiva aroma in cucina durante la lavorazione e sapori intensi e appaganti al momento dell’assaggio. Sono partito proprio da lì».

I funghi si fanno desiderare e c’è da scarpinare parecchio per portare a casa un cestino di una qualche varietà, tra cui alcune particolarmente popolari – finferli, morchelle – altri preziosi e più rari, come le mazze di tamburo e le trombette dei morti, altre decisamente meno conosciute o sottovalutate, come il prataiolo. «È uno dei miei preferiti – dice Gilmozzi – anche se assai poco considerato» [...]

Estratto di "Il gusto del sottobosco" di Stefano Caffarri su ItaliaSquisita 53.

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Ph. Marco Menghi

Scopri la biografia e tutte le ricette di 🔗ALESSANDRO GILMOZZI
Published on: 27-10-2025

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