



Sandro e Maurizio Serva, gli Ambasciatori

Da San Francesco agli allevamenti bio. Storie di pesci d'acqua dolce.
A La Trota si può trovare una cucina davvero salutare: pochi grassi, poco sale, niente zucchero ma molto miele di castagno e millefiori di casa Serva, soprattutto nei dolci, poiché si sfrutta la dolcezza naturale del fruttosio nella frutta e degli amidi nei cereali e nelle verdure.
Ma è il pesce a dare una spinta all’acceleratore, fin dai primi tempi. Il
padre Emilio infatti era un pescatore che scambiava il pesce di fiume
con altri prodotti disponibili al mercato di Rieti. Ai tempi degli
antichi romani in quella zona era tutto un lago, e poi si racconta
che fin dal 1400 lo Stato Pontificio si faceva mandare i gamberi di
fiume proprio da queste valli. Si parla anche di un abbinamento
gastro-religioso molto suggestivo: San Francesco e il pasticcio di
luccio. Ora tuttavia i fratelli Serva si affidano a un allevamento
biologico per le trote, mentre per carpe, lucci, tinche e anguille si
rivolgono a cooperative di pescatori presso il Lago del Salto o a
Campotosto (vicino ad Amatrice), in un laghetto a 1400 metri
d’altitudine. A quelle basse temperature le carni dei pesci sono
quindi più sode e buone, tanto che d’inverno i pescatori si aprono
un varco tra la neve per pescare.
I pesci d’acqua dolce sono molto resistenti fuori dall’acqua: l’anguilla può vivere anche dieci giorni dopo essere uscita dall’acqua, mentre il gambero di fiume un mese, la tinca e la carpa un giorno. Questo significa che al ristorante arrivano dei pesci assolutamente vivi. Per eliminare
però il sapore salmastro e terrigno da fondale le si immergono
ancora vive in acqua e pochissimo aceto. Una sorta di spurgo e di
pulizia di sapore. La trota di lago vive invece in acque pulitissime
ed è poco grassa (3% di grassi, in confronto al salmone col 35%).
Per questo bisogna cuocere poco i pesci d’acqua dolce. Solo
l’anguilla è grassa. E il papa Martino IV lo sapeva bene,
facendole annegare nella vernaccia per ottenere una splendida
grassezza alcolica.
Sandro e Maurizio: armonia perfetta tra sala e cucina
Maurizio se ne va sul fiume a cogliere il crescione, amaro e pungente come il rafano. Oppure i getti di luppolo, le lumache e le erbette raccolte qua e là quando ci sono le piccole pause dal ristorante. Sandro invece
sfornella tranquillo con la sua giovane brigata dai mille accenti regionali e internazionali. Oppure accade il contrario: è Sandro a uscire dalla cucina per raggiungere gli allevatori di pesce di fiume o il contadino che coltiva i pomodori gialli e neri per il nuovo menu, mentre Maurizio è tra i fornelli a cucinare un nuovo ennesimo piatto del successo. Così come
si alternano nelle mansioni pratiche della cucina, parimenti i due fratelli si avvicendano anche nel servizio: Maurizio in vestito da sera, impeccabile, a fare il direttore del ristorante, mentre Sandro al pass per far uscire gli stratosferici piatti; il giorno dopo è magari Sandro in giacca e cravatta, sorridente davanti ai numerosi clienti, mentre Maurizio è in cucina a sudare e impartire i tempi della brigata.
Prima uno e poi l’altro, in un razionale scambio di ruoli che evidenzia la loro maturità nell’alta ristorazione.
sfornella tranquillo con la sua giovane brigata dai mille accenti regionali e internazionali. Oppure accade il contrario: è Sandro a uscire dalla cucina per raggiungere gli allevatori di pesce di fiume o il contadino che coltiva i pomodori gialli e neri per il nuovo menu, mentre Maurizio è tra i fornelli a cucinare un nuovo ennesimo piatto del successo. Così come
si alternano nelle mansioni pratiche della cucina, parimenti i due fratelli si avvicendano anche nel servizio: Maurizio in vestito da sera, impeccabile, a fare il direttore del ristorante, mentre Sandro al pass per far uscire gli stratosferici piatti; il giorno dopo è magari Sandro in giacca e cravatta, sorridente davanti ai numerosi clienti, mentre Maurizio è in cucina a sudare e impartire i tempi della brigata.
Prima uno e poi l’altro, in un razionale scambio di ruoli che evidenzia la loro maturità nell’alta ristorazione.
Ritorno alle origini...al ritmo delle stagioni.
Una cucina strabiliante, fatta con “poco”. Una cucina della tradizione e stimolata direttamente dalla natura: non seguendo mai le mode degli ingredienti e andando dritti coi propri gusti, come il bistrattato castrato o il pesce acqua dolce per esempio. In primavera glorificano le erbe spontanee, gli ortaggi verdi; in estate utilizzano i frutti e le verdure più calde, rosse e gialle. In autunno invece possono contare sul raro e quasi sconosciuto tartufo bianco di Borgorose, nella Valle del Salto verso l’Abruzzo, che a detta di molti è meglio di quello d’Acqualagna: è forse come quello di Alba ma con prezzi assolutamente minori. Con questo magico ingrediente del Rietino realizzano un meraviglioso Gnocco soffiato di borraggine, salsa di burrata e lamelle di tartufo bianco. D’inverno infine sono le radici a emergere sul palcoscenico dell’alta cucina. A settembre i due chef portano tutta la brigata in montagna, per prendere 20 chili di more, mentre a inizio primavera vanno alla ricerca del raro e ipervitaminico frutto corniolo per la composta di formaggi (un giorno di raccolta per ottenere
un solo barattolino). I fratelli Serva sono così “avanti” rispetto ai compaesani che
da quando lo raccolgono loro anche gli altri abitanti fanno a gara per prenderlo
dall’albero. È come se adesso fossero loro i creatori di tendenze sul territorio. Come il meraviglioso piatto Anguilla nel coniglio e coniglio nell’anguilla, con rispettive e speculari farciture e una maionese al basilico davvero perfetta(...).
La Trota, sebbene viva e prosperi in una piccola provincia italiana difficile da raggiungere, incomincia a essere il centro focalizzante di una altra nuova cucina italiana e forse l’esempio lampante di un felice ritorno alle origini, un modus vivendi fatto di semplicità creativa, gentilezza e riservatezza, rifiuto caratteriale verso la voglia di apparire a tutti i costi. Un luogo forse nuovo agli occhi di molti, ma già indimenticabile e unico nel panorama gastronomico dell’Italia buongustaia.
La Trota, sebbene viva e prosperi in una piccola provincia italiana difficile da raggiungere, incomincia a essere il centro focalizzante di una altra nuova cucina italiana e forse l’esempio lampante di un felice ritorno alle origini, un modus vivendi fatto di semplicità creativa, gentilezza e riservatezza, rifiuto caratteriale verso la voglia di apparire a tutti i costi. Un luogo forse nuovo agli occhi di molti, ma già indimenticabile e unico nel panorama gastronomico dell’Italia buongustaia.

La Trota: "una bellissima questione di famiglia"
«I figli sono il motore che fa crescere sempre di più il livello e la passione del ristorante. È la famiglia che unisce e compatta gli obiettivi, che elargisce la benzina giusta per accelerare nel presente per diventare ancora più grandi nel futuro» esclama tronfio d’amore Sandro Serva, mentre racconta i suoi ricordi d’infanzia nel reame di Rivodutri. «Da bambini si andava sotto il fiume e si prendevano chili di gamberi.
In trattoria abbiamo iniziato subito, fin dai 15 anni, completamente
autodidatti. Io ho frequentato l’istituto professionale, Maurizio il liceo, ma la ristorazione era perennemente nei nostri cuori. Ci è sempre piaciuto mangiare ed era naturale l’idea di fare bene ogni volta il proprio lavoro, con passione, anche quando arrivarono i mitici – e tremendi – anni ’80».
Quando infatti i due fratelli subentrarono ai genitori nel ristorante, ci fu inizialmente una sorta di compromesso con il nuovo gusto pop (aragosta, spigola) dei clienti; poi dal ’95 si stufarono di assecondare questa tendenza e virarono improvvisamente al passato, un ritorno alle
origini culinarie della zona. (...)
La loro cucina era ed è tuttora un paradigma goloso e impeccabile verso quello che la zona offre: il pesce di lago e quello di fiume stanno bene con le erbette che li accompagnano nella natura. Ci sono crescione e sedano d’acqua, mentuccia, finocchio e timo selvatici, bacche di ginepro, strigoli (cicoriette selvatiche), spinaci selvatici e luppolo.
Così come le lumache stanno bene con quello che bruca.
L’habitat fa il monaco, quindi. E i risultati pian piano arrivano copiosi: nel 2004 giunge la prima stella Michelin, nel 2012 la seconda.
Sono passati tanti anni di fatica per raggiungere quello che volevano all’inizio; tanti saliscendi per ritornare nello stesso punto della fonte: la cucina del territorio. Ma ovviamente in chiave moderna, esteticamente mozzafiato, con tecniche innovative, incursioni di spezie e pochissimi elementi non autoctoni per scatenare fuochi e fiamme al degustatore. Anche il senso della famiglia è tornato in auge, più forte di prima:
ora in sala ci sono i due figli di Maurizio e Sandro, Amedeo e Michele (che studiano entrambi all’università: uno marketing a Roma e l’altro tecnologie alimentari a Milano), per tramandare la passione anche alla terza generazione dei Serva.
In trattoria abbiamo iniziato subito, fin dai 15 anni, completamente
autodidatti. Io ho frequentato l’istituto professionale, Maurizio il liceo, ma la ristorazione era perennemente nei nostri cuori. Ci è sempre piaciuto mangiare ed era naturale l’idea di fare bene ogni volta il proprio lavoro, con passione, anche quando arrivarono i mitici – e tremendi – anni ’80».
Quando infatti i due fratelli subentrarono ai genitori nel ristorante, ci fu inizialmente una sorta di compromesso con il nuovo gusto pop (aragosta, spigola) dei clienti; poi dal ’95 si stufarono di assecondare questa tendenza e virarono improvvisamente al passato, un ritorno alle
origini culinarie della zona. (...)
La loro cucina era ed è tuttora un paradigma goloso e impeccabile verso quello che la zona offre: il pesce di lago e quello di fiume stanno bene con le erbette che li accompagnano nella natura. Ci sono crescione e sedano d’acqua, mentuccia, finocchio e timo selvatici, bacche di ginepro, strigoli (cicoriette selvatiche), spinaci selvatici e luppolo.
Così come le lumache stanno bene con quello che bruca.
L’habitat fa il monaco, quindi. E i risultati pian piano arrivano copiosi: nel 2004 giunge la prima stella Michelin, nel 2012 la seconda.
Sono passati tanti anni di fatica per raggiungere quello che volevano all’inizio; tanti saliscendi per ritornare nello stesso punto della fonte: la cucina del territorio. Ma ovviamente in chiave moderna, esteticamente mozzafiato, con tecniche innovative, incursioni di spezie e pochissimi elementi non autoctoni per scatenare fuochi e fiamme al degustatore. Anche il senso della famiglia è tornato in auge, più forte di prima:
ora in sala ci sono i due figli di Maurizio e Sandro, Amedeo e Michele (che studiano entrambi all’università: uno marketing a Roma e l’altro tecnologie alimentari a Milano), per tramandare la passione anche alla terza generazione dei Serva.
La Trota è ormai una bellissima questione di famiglia.