



Oliver Glowig, l'Ambasciatore
Inverno non ti conosco. Le scoperte romane di un Oliver cresciuto a Capri
È divertente pensare che da quando è in Italia Oliver Glowig non ha mai cucinato in inverno. Ormai sono passati 17 anni da quando arrivò alla corte di Gualtiero Marchesi al Quisisana, e poi nove anni al Capri Palace, sempre d’estate: la sua voglia di cucina d’inverno era troppo imponente. Ora, a Roma, si può sfogare e cucinare anche carni più complesse, come la coda alla vaccinara, o i risotti e le zuppe di pesce… Grazie al suo amico e consigliere del gusto Salvatore Della Tradizione prima la sua mente era concentrata solo sui prodotti campani, come la colatura di alici, i formaggi tipici campani, la mela annurca, le verdure estive della Costiera Amalfi tana; ora invece il suo sguardo è più concentrato verso la grassezza della cucina laziale, dell’intensità gustativa e delle lunghe cotture. La sua cucina è più decisa e più incline a usare le interiora, i tartufi , la selvaggina, i funghi, i cavoli invernali. E poi altro grande vantaggio di Roma: al contrario di Capri, d’inverno la vita notturna c’è ed eccome! E fi nalmente i locali si siedono al suo tavolo, anche quando fuori piove e fa freddo.
Nella foto, i tortelli ripieni di coda alla vaccinara speziata in salsa di liquirizia.

Iavarone, Tostivint, Trolese, e la brigata internazionale di Glowig
Roma caput mundi. Oliver Glowig è un tedesco minuto e discreto che forgia una cucina ciclopica ed esplosiva, un germanico che si esibisce in movimenti da trapezista con gli ingredienti italiani, un teutonico di Vestfalia che gioca coi sapori di Alberto Sordi e Antonio De Curtis con una sapienza quasi innatamente connazionale. Oliver Glowig è un ambasciatore della cucina italiana senza ombra di dubbio, perché dall’antipasto al dolce la sua esplorazione non varca mai i confi ni del BelPaese, volteggia sulle colline laziali e sui flutti marini del Golfo di Napoli, si destreggia con i volatili selvatici della Toscana, armeggia coi chicchi di riso della Lombardia di Gualtiero Marchesi, sperimenta abbinamenti stravaganti come il caffè, i fagioli e le lumache (non sono forse queste delle succulenze molto ambite nella nostra cucina?), elucubra accostamenti azzecatissimi con la coda vaccina e la liquirizia, per cercare di avvicinare la Calabria alla gola capitolina. Utilizza pasta artigianale di Gragnano, dà alla luce una splendida marmellata di bergamotto, si prende il merito di rivoluzionare la pasta “cacio e pepe” aggiungendovi il colpo dell’artista, il riccio di mare. Ma non solo gusto e sperimentazione nella cucina di Oliver, anche la tecnica ha il suo bel valore in questo ambaradan gourmet: la quaglia viene farcita di foie gras e resa croccante con una crosta di olive e frutta secca; l’astice è invece avvolto in un cashmere di pesce e associato ai funghi… Ogni singola pietanza è il frutto di una collaborazione con il suo “secondo” napoletano Domenico Iavarone, ogni dessert viene realizzato con l’intensa e rifl essiva cooperazione del suo pasticciere transalpino Thierry Tostivint. Per non parlare poi dei colti abbinamenti coi vini del maître sommelier Matteo Trolese. Al lavoro la brigata sembra l’armata di Carl von Clausewitz, ma quando ciascuno esce dai ranghi per discutere di un piatto o per raccontare la propria vita ecco come tutto si trasforma in una combriccola di amici. Oliver Glowig sprizza cucina italiana da tutti i pori, e ogni anno è sempre meglio.
La casa romana di un grande chef europeo
«A Capri ho scoperto il sapore del pomodoro rosso e succoso, del basilico, delle erbe aromatiche (maggiorana, origano e prezzemolo) e ancora dell’aglio, del peperoncino e dell’olio extra vergine d’oliva. Mi hanno colpito il mare e le sue meraviglie, i pesci crudi come il dentice e il riccio di mare, lo scorfano e il suo sugo intenso. La carne come l’agnello, il maialino di cinta senese, i volatili selvatici… Avevo l’imbarazzo della scelta, pane, formaggi, salumi e pasta artigianale sempre al mio fianco!». L’isola forse più ricca e prestigiosa di fronte alla Penisola Sorrentina stimolò di continuo lo chef, lo sedusse, lo ispirò grandemente, lo rese solido nelle sue argomentazioni culinarie, e soprattutto gli fece raggiungere il livello più alto di cucina italiana. La sua grande fortuna consiste nell’essere vergine e incontaminato nei confronti dei sapori della tipica infanzia di un bimbo italiano; è come se, una volta in Italia, avesse resettato il suo sapere e avesse ricominciato a mangiare, inghiottire ed emozionarsi, partendo da zero. Un italiano nasce già con questi gusti, quindi in un certo senso è abituato e a volte atrofizzato nelle sue certezze organolettiche, senza alcun spirito oggettivo e critico. Oliver Glowig invece è uno spirito libero che si è gradatamente innamorato; quindi la sua è una cucina italiana razionale, meditata e riflessiva, in perenne evoluzione perché lo è anche la sua curiosità nei confronti del nostro cibo nazionale. Insomma, a Capri lo chef neo-italiano è cresciuto in modo mastodontico e fruttifero, e le basi per creare qualcosa di totalmente suo erano pronte su un piatto d’argento. «Guarda caso, proprio in questo momento della mia vita, mi viene proposto di andare a Montalcino, per un’avventura tutta mia. Per la prima volta sarei stato lo chef patron di un ristorante!». Ma non è tutto oro quello che luccica, direbbe il saggio orafo, e l’investimento non resse l’urto della crisi e della stagione invernale. Dopo 3-4 mesi Oliver Glowig, abbastanza provato dall’esperienza in Toscana, decise di ricominciare da capo, questa volta a Roma all’interno del Grand Hotel Aldrovandi Villa Borghese. Un nuovo splendente inizio.

Il piatto cerebrale: lumache alla mentuccia con fagioli e caffè
Il piatto Lumache alla mentuccia con fagioli e caffè è senza alcun dubbio un piatto cerebrale. La mente viene confusa da questo baccanale di sapori forti, aromatici e unici nel loro genere. Le lumache con la mentuccia vengono proposte dalla tradizione romana il 24 giugno, giorno di San Giovanni, quindi niente di nuovo, ma quello che sorprende è l’accostamento coi fagioli (per amalgamare e rendere grasso il tutto), col caffè (per dare aromaticità ed esotismo, oltre che scalpore iniziale), con le friselle frullate (per istigare il cervelletto a pensare a un terreno croccante, dove sguazzerebbero le lumache) e la stessa mentuccia per dare freschezza e pulizia. Oltre a essere un piatto cerebrale è anche ermafrodita, sia maschile che femminile: i sapori forti e virili delle lumache e dei fagioli ben si accostano nel talamo nuziale a quelli più aggraziati, sofisticati e muliebri della mentuccia e del caffè. Una pietanza controversa ma indubbiamente unica e rara.
Quietare anima e corpo in mezzo al mediterraneo
Negli anni di Capri conobbe la sua adorata moglie, da cui avrà in seguito Gloria e Aurora. Capri è diventata la sua seconda patria, ma nel 1998 decise di tornare in Germania, ancora all’Acquarello di Monaco, in veste di chef responsabile accanto a Mario Gamba. «Due anni in Germania e la nostalgia per l’isola partenopea assale me e mia moglie: io lavoravo tutto il giorno e, anche se la mia consorte parlava il tedesco, si sentiva un po’ sola in una città a lei estranea. La malinconia caprese ci stava logorando. Perciò torniamo nell’”isola azzurra”, per quietare anima e corpo in mezzo al Mediterraneo». Questa volta è stato l’hotel Capri Palace a investire nel piccolo genio di Düsseldorf, forte anche della stella Michelin appena conquistata a Monaco dopo solo due anni di lavoro. Nove anni idilliaci nel Golfo di Napoli, alta cucina mediterranea, sperimentazioni e una padronanza culinaria sempre più consapevole e sofisticata. Sbocciarono i premi, le onorificenze e i clienti, sebbene fosse un lavoro prettamente estivo e stagionale. Ma quello era soltanto il prologo a un futuro ancora più raggiante, come il caldo sole italiano.
Nella foto, Astice coi fiori di zucca in pastella con schiuma di rose.
Nella foto, Astice coi fiori di zucca in pastella con schiuma di rose.
Oliver Glowig: Aldovrandi Villa Borghese, Roma
Roma è la capitale d’Italia, e la sua cucina deve essere sempre all’altezza. A Villa Borghese la natura e la storia si fondono ad arte, tra giardini all’italiana, splendidi edifici tardo rinascimentali, musei e parchi zoologici. All’interno di questa istituzione capitolina, all’Aldrovandi Villa Borghese, non poteva mancare tuttavia anche una vera cattedrale della ristorazione dove poter celebrare l’alta cucina dal sapore italico. Ironia della sorte buongustaia, a capo di questo progetto enogastronomico c’è uno chef tedesco, Oliver Glowig, che con la sua passione è riuscito a ricreare piatti italiani ancor con più enfasi di alcuni suoi colleghi che sono nati e cresciuti nella terra di Dante Alighieri. Il ristorante si chiama proprio Oliver Glowig, sforna un’arte culinaria dai connotati rigorosamente tricolore e si sta confermando come uno dei luoghi più importanti della Penisola in cui degustare la vera cucina italiana. Paradossale? Forse, ma quando la testa e le mandibole hanno la fortuna di assaggiare i piatti del cuoco teutonico ogni dubbio si dissolve. E chi possiede cromosomi italiani si sente improvvisamente a casa, grazie a un piccolo grande tedesco.