Alessandro Dal Degan: l'emergente

Una cucina antichissima

«La mia è una cucina che fonda le sue basi sull’utilizzo del territorio che mi circonda. Alcuni hanno detto, per bacchettarmi, che sto seguendo il filone “nordico”, scopiazzando qua e là i vari Noma, Geranium, ecc., affermando ciò solo perché hanno letto da qualche parte gli ingredienti che uso nei miei piatti. Credo tuttavia che ci sia tanta gente che ha troppo buon tempo da spendere (male), anziché informarsi e magari venire qua da me ad assaggiare in prima persona quello che faccio. Nessuno di loro sa in realtà, come in un archetipo junghiano, che la loro affermazione è più vera di quanto essi stessi possano crederlo, solo perché non conoscono la realtà dei fatti. Mi spiego meglio: i primi ad abitare le mie montagne sono stati proprio alcuni individui provenienti dal Nord, dalla Scandinavia, un drappello di uomini e donne che decise attorno l’anno 100 a.C. di attaccare Roma e, dopo essere stati velocemente debellati dalle truppe di Gaio Mario (indicativamente dove oggi sorgono i confini tra Emilia e Toscana), nel tentativo di ritirarsi sono capitati da queste parti. Probabilmente resisi conto che non sarebbero mai riusciti a tornare vivi a casa e, trovandosi in un ambiente molto simile al loro di origine, hanno deciso di stabilirsi proprio in questa zona del Veneto. Ed ecco svelato l’arcano, il motivo per cui in cucina uso quello che uso: questi ingredienti fanno parte della mia storia e della nostra cultura. Ogni legno, resina, muschio, gemma, fiore, erba selvatica, lichene, radice e foglia che utilizzo in cucina erano usati anche dai nostri nonni per cibarsi e curarsi. Non avevano altro, erano quasi le loro uniche fonti di sostentamento. In realtà quello che sto facendo ora è un grande lavoro di ricerca delle tradizioni e del passato, perché purtroppo la prima guerra mondiale ha completamente annientato tutto questo territorio, raso al suolo famiglie, case, alberi, tradizioni. Ogni famiglia fu evacuata e in pochissimi sono tornati qui alla fine del conflitto. Tutte quelle conoscenze che erano tradizionalmente passate di padre in figlio, di madre in figlia, sono state spazzate via, perdendo quasi tutto. Mi piace pensare che quello che stiamo facendo ora alla “Tana” ad Asiago possa portare un po’ d’onore e gioia ai nostri avi. Logicamente facciamo questo con la nostra filosofia, con le nostre tecniche e gli strumenti moderni. Non credo infatti sia giusto definire la mia cucina “tradizionale”, penso sia più innovativa, ma con un occhio di riguardo al passato. D’altro canto cosa sono le tradizioni se non una stratificazione di innovazioni che col passare del tempo vengono assimilate dalla massa come “normalità”? E grazie ai miei giovanissimi collaboratori Alex Manzoni (sous chef), Denny Caliaro (pasticcere) Davide Compagno, Eddy Stocchero (vice di Enrico in sala) e Giovanna Danzo possiamo evocare una cucina nuova, fresca e giovane, ma con solide basi del passato».

La cucina: un affare di famiglia

La fortuna golosa gli ha infatti già riservato in famiglia mamma e nonne cuoche professioniste, esperte di cucina veneta molto tradizionale: la sua quindi è pura e genuina “filosofi a culinaria genetica”. «Come primo aneddoto posso accennarti la teoria di mio papà, quando cerca di descrivere il perché io abbia intrapreso la strada del cuoco, e chiaramente è una presa in giro nei miei confronti: da piccolo sono sempre stato un mangione e la mia stazza lo ha sempre dimostrato; spesso mi trovavo in casa da solo con lui - che non è in grado neanche di fare un uovo sodo – e da qui deriva l’opinione che la mia scelta di imparare a far da mangiare fosse nata per evitare il rischio di rimanere senza cibo… Per il resto non ho in realtà grandi ricordi infantili o adolescenziali riguardo al cibo, se non le scene simpatiche di quando andavo in giro per prati e boschi e assaggiavo qualsiasi cosa, commestibile e non, e i nonni che mi gridavano dietro di tutto. Scene di ordinaria follia!».

Gli ingredienti di Alessandro Dal Degan

Ecco, allora quello di cercare, assaggiare e raccontare “storie erbacee” è un vizio che il giovane Alessandro possiede fin dall’infanzia, fin dai tempi in cui il raziocinio è chiaramente ben disgiunto dall’istinto. Se ora nella sua cucina si trovano il pino, il lichene, il fieno non è un caso apocalittico o modaiolo; se ora nel suo menu si posso degustare Lumache stufate nel fieno, crema di erbe selvatiche (kumo dei prati, acetosella, farinello buon enrico, tarassaco), pigne di pino mugo fermentate e pane al muschio non è circostanza fortuita, neppure il Cuore di vitello crudo con rape, lardo, crauti e rose è così alieno dal mondo silvestre della montagna intorno ad Asiago. Il piatto Crudo di pesce San Pietro in brodo di terra è innovazione con gusti neolitici, in cui la freschezza limpida del mare si fonde all’infusione di erbe terrose di sottobosco e muschio dell’inconsueto consommé. «In base a quello che vogliamo raccogliere per la nostra cucina, bisogna scegliere il momento giusto della natura. La primavera è ovviamente l’intervallo dell’anno più avvincente, ma anche nelle stesse giornate di primavera esistono momenti più o meno favorevoli nella raccolta delle erbe spontanee, per non parlare dei differenti habitat montanari. Il lichene islandico (o cetraria) viene per esempio raccolto dai 1800 metri in su, quindi ho bisogno di una giornata intera – e ben tre ore di camminata - per sperare di trovare questa piantina nel suo splendore anagrafico e geografico. Per raggiungere infatti la sua dimensione ideale ci vogliono ben otto lunghi anni! L’asparago di bosco e la camomilla selvatica nascono invece solo in posti umidi, ed è quindi preferibile andare in mezzo ai boschi nel pomeriggio. Ma è la rugiada la vera ninfa eterea da conquistare: per catturarla e trasportarla al ristorante è necessario partire alla mattina alle 5, perché il primo sole la farebbe evaporare. Una volta messa in barattoli ermetici la posso conservare in frigo e utilizzarla per realizzare la mia finta meringa di funghi, ottenuta dalla polvere di porcini bollita nella stessa rugiada, con tè nero che ne esalti i profumi, e infine montata con il kudzu, una fecola ottenuta da una radice selvatica che fa da addensante nella preparazione di salse, budini e zuppe in Oriente». Alessandro Dal Degan è un cuoco forager vero e proprio, uno chef di un’umiltà a volte imbarazzante, schivo e per nulla mediatico, che gestisce a modino la sua brigata e contemporaneamente si lascia andare selvaggio a esplorazioni silvane, come un folletto dei boschi. Insieme ai soci Enrico Maglio (maître) e Stefano Fracaro (amministrazione) è co-titolare del locale e con alti e bassi stagionali per la clientela si è messo in gioco per creare una cucina tutta sua, più unica che rara, che combina grandi tecniche di lavorazione delle splendide materie prime della zona a piccoli ingredienti spontanei, come mamma natura li ha concepiti in questo bellissimo pianeta. Se un ristorante gastronomico deve infondere emozioni, La Tana Gourmet è il luogo ideale per sperimentare sapori vegetali inconsueti, che solo la dea della caccia Diana ha potuto assaggiare nel suo pellegrinare mitologico. Cucina creativa strabiliante e a impatto zero, in cima a un monte, grazie a un profilo bassissimo da autentico cuoco del futuro.

Alessandro Dal Degan, un torinese nei monti vicentini

La favola bucolica di assaggiare un brodo di terra a un centinaio di metri sopra la piana di Asiago. Sui monti di Vicenza Alessandro Dal Degan vive infatti tra pentole e scarponcini da trekking, per creare piatti da poeta pastorale e per intraprendere gite montanare come un vero esploratore. Trentatreenne nato a Torino, cresciuto a Firenze (in cui frequenta l’istituto alberghiero) e poi arrivato ad Asiago per plasmare il suo sogno ristorativo con La Tana Gourmet, non ha avuto veri maestri di cucina perché fin dai 20 anni si è sempre trovato a gestire i ristoranti in prima persona.