La cucina di Alfio Ghezzi

“Vorrei che la mia cucina fosse riconoscibile nelle tecniche e negli ingredienti, che riveli la sua anima semplice ma che riesca parimenti a dare un’emozione” così racconta Alfi o Ghezzi della sua ideologia culinaria. “Si devono percepire le note alte di un sapore, magari dell’acidità che ho imparato dalla mia infanzia, con i sapori aciduli della cucina trentina. Vorrei che i miei piatti celino nell’intimo una storia, un’idea o una connessione alla mia vita”. Da anni lo chef celebra il suo territorio ancestrale (Relitto glaciale: salmerino marinato con crema di mele al coriandolo, il suo fegato con la crema di carote e la corniola, la robiola di capra e l’olandese di uova di trota tiepida al sifone) oppure quello più recente con i produttori d’eccellenza (Insolito Trentino: spaghetti Monograno Felicetti, extravergine Uliva, Trentingrana e Ferrari Perlé). Fin dall’inizio glorifi ca i prodotti nuovi che si sono adattati al nuovo territorio trentino (come la gustosa carne di Yak della Val d’Ambiez o lo zafferano prodotto dal carcere di Trento), il suo maestro Marchesi con il geometrico Ziti e capelonghe oppure sua moglie di Cuneo grazie al risotto con cerfoglio e lumache e i ravioli di pollo e polvere di caffè. Trippa e cipolle in III classe è l’elaborazione gastronomica di un momento storico ben preciso: sul Titanic l’ultima classe di passeggeri si poteva nutrire solo di trippa e cipolle, visto il basso costo del biglietto, e quindi con cibi considerati ‘poveri’; al contrario la prima classe, che spendeva quasi 60 volte in più il costo del viaggio, si poteva permettere aragoste, caviale e Champagne. Alfi o Ghezzi dimostra che invece la trippa e le cipolle sono altrettanto buone e fi ere dei propri sapori, non invidiando nulla al cibo dei ricchi. Lo chef col cervello sempre in moto ha creato poi un dashi di trota spaziale, un “animella/sesamo/cetriolo” da sobbalzo cardiaco e ha reso sublime il suinetto orvietano dell’allevatore Alfredo Angeli con sedano e dolceforte di peperoni. Le sue versioni dello strudel alternano la classicità e l'avanguardia delle tecniche. Ma tutto ciò pare non basti ad Alfi o Ghezzi. “Ora forse sto entrando in una terza e ancora più sofi sticata crisi esistenziale: ora aspiro a una fi losofi a dove ‘meno’ è il ‘più’. La sintassi dei sapori di matrice marchesiana è una sorta di grammatica dei bilanciamenti e delle interazioni tra i singoli gusti: l’acciuga salata sta bene con l’amara puntarella, l’amaro e l’acido si esaltano a vicenda dunque. L’essenzialità è poi la chiave del godimento immediato per il commensale: l’amaro è l’essenza del gusto di montagna, attraverso le erbe selvatiche e le radici. Cerco un minimalismo concettuale, non di forma, che l’alta cucina fa ancora un po’ fatica a riconoscere; ma credo che il futuro andrà in quella direzione. Sono stato a Copenhagen e ho notato il grande lavoro di René Redzepi che, al di là dei muschi e dei licheni, penso abbia creato una frattura sostanziale dalle teorie scientifi che di Ferran Adrià. Lo spagnolo, che a parer di tutti sembrava aver chiuso il discorso sulla cucina, ha sottovalutato alcuni aspetti dell’indole umana: l’amore per la natura, grande madre dell’uomo, e per la sostenibilità, oppure intaccare al minimo le risorse per lasciarle alle nuove generazioni del domani, come si fa magari coltivando un terreno in modo naturale e non sfruttarlo all’infi nito.” Insieme ad altri come Virgilio Martinez in Perù, Rodolfo Guzmán in Cile e sempre più cuochi anche in Italia si sta sperimentando non solo il chilometro zero in maniera continuativa e quasi scontata, ma si sta orientando la cucina d’avanguardia proprio in questa direzione sostenibile. La considerazione del territorio e dello spreco vanno di pari passo, sono positivamente e direttamente proporzionali: più si ama il proprio regno più i cavalli saranno veloci. Alfi o Ghezzi ha ripreso a insegnare le tecniche di cucina, sia all’alberghiero di Trento sia alla scuola professionale ALMA: qui cresce i suoi pupilli e alcuni di loro andranno a lavorare con lui in Locanda Margon. Quale chef si può dire così fortunato? Questi ragazzi non solo imparano a cucinare daddio ma negli ultimi tempi incominciano anche a percepire la svolta del loro chef, quella che lo sta portando a un concetto di cucina veramente etica. Veramente. “Sul menu del Salotto Gourmet c’è scritto ‘Siete in un santuario della cucina trentina’ e io voglio dimostrarlo ogni giorno...” sorride con mille denti Alfi o Ghezzi. “Ma la questione è sottile: bisogna fare i conti con le convenzioni e il contesto sociale. In questo momento sto cercando infatti un equilibrio tra il contesto in cui vivo e l’ennesima ricerca interiore; perciò rimango sempre legato ai temi a me più cari, come lavorare con una signora del paese che raccoglie fi ori spontanei, con aziende che producono semi oleosi, con chi lavora la canapa e attività produttive di ricerca volte a una sostenibilità di fondo. Voglio esaltare il valore dell’acqua, mentre i ghiacciai si sciolgono; dire no a maialini e agnelli da latte ma un bel sì a salmerino, trote e lumache appunto!” Alfi o Ghezzi vuole che in futuro siano i clienti stessi a chiedere e pretendere questo atteggiamento da parte dei cuochi, e che lui come i suoi colleghi vengano ricordati proprio per tale cambiamento. “Mi piace questo chef perché cucina bene e si preoccupa anche dell’ambiente e della sostenibilità!” deve diventare il nuovo claim della gastronomia mondiale. Nonostante il suo ristorante vada a gonfi e vele, lo chef pensa quasi ossessivamente all’ambiente che lo circonda, all’ecologia, al rapporto uomo-natura che si sta via via sgretolando in questa età contemporanea. Se le crisi esistenziali fossero tutte come quelle di Ghezzi il mondo della cucina diventerebbe il modello per ogni attività umana. Alfi o sta dimostrando coi suoi piatti che la cucina può cambiare davvero la nostra visione del mondo.

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