Gli allievi di Ciccio Sultano nella barocca Caltagirone

Fuori l’epica Scalinata di Santa Maria del Monte, patrimonio dell’arte barocca italiana, dentro due cuochi contemporanei che amano la propria terra, la gastronomia che ne deriva e il colonnello Giuseppe Coria, il Pellegrino Artusi della cucina siciliana a cui è stato dedicato proprio il nome del ristorante.

Dopo diverse esperienze nel nord Italia i due cocinatori si sono conosciuti a Ragusa Ibla, dal maestro Ciccio Sultano, e da quel momento è nata un’amicizia feconda che li ha portati a pensare e realizzare un progetto ristorativo comune. È l’anno 2008 e finalmente il Ristorante Coria a Caltagirone apre i battenti, con brio e frizzantezza, con entusiasmo e ricette nuove di piatti antichi dell’amata Sicilia.

D’altronde la gastronomia era nel loro sangue, fin  da bambini: Francesco infatti rubava dal frigo le olive schiacciate, i capperi e le acciughe, manifestando fin da subito la sua idolatria per i sapori forti siculi; Domenico invece sottraeva il cioccolato dai cassetti oppure spendeva le sue piccole mance per il nettare degli Olmechi, come fosse un drogato di teobromina.

Segno del destino visto che poi ha frequentato l’istituto alberghiero proprio a Modica, capitale indiscussa della massa di cacao? Forse, fatto sta che ora i due giovani spaziano nella cucina siciliana come provetti affabulatori, capaci di stupire sia gli occhi che il palato con creazioni quasi scultoree. Locali e forestieri possono degustare la cultura del territorio con classe ed eleganza. Ma è quando si parla di ingredienti che Domenico e Francesco tirano fuori il loro cuore, e non si fermano più di raccontare.

Lavorando fuori dall’isola fin da pischelli, chi a Venezia chi a Zurigo ad esempio, i due giocolieri del ristorante Coria non hanno mai avuto il tempo di imparare la cucina siciliana; in tutti quegli anni hanno allenato mani e mente alla cucina continentale, alle basi della pasticceria, delle salse.

Solo da Ciccio Sultano hanno appreso poi i segreti culturali delle ricette siciliane, l’amore per prodotti sconosciuti ai più come i geli (bietole selvatiche), il mauro (alga marina), gli abbinamenti con il tonno rosso del Trapanese e con gli altri pesci autoctoni e gli agrumi, i latticini, le magnifiche verdure di stagione, il raro grano Simeto della Val di Catania per le paste fatte in casa.

Francesco e Domenico valorizzano il territorio a 360°, contemplando in menu anche la carne di maialino nero dei Nebrodi o quella dei capretti locali. Istituzionalizzano quindi la ricotta come ingrediente principe dei dolci, le mandorle, il cioccolato di Modica appunto.

L’antipasto itticamente regale Interpretazione del crudo di pesce in cinque differenti preparazioni riappacifica la gola avida di mare; il Bucatino trafilato al bronzo con triglia, salsa leggera di acciuga e pane fritto al finocchietto selvatico può indurre il viaggiatore vagabondo incallito a piantar radici in Sicilia;

i Tradizionali “arancini” siciliani con battuto di maialino nero e crema di piacentinu ennese dimostrano che si può giocare in cucina in modo surrealista e mangiare come Magritte e Dalì; e infine il Tortino caldo di mandorle con gelato al marsala e zuppa di cuccìa con croccante di cioccolato darebbe sollievo anche al triste Pierrot.

Francesco Patti e Domenico Colonnetta sono la dimostrazione che gli chef siciliani esistono e resistono, nonostante la crisi e la riluttanza dei siciliani stessi a buttarsi a capofitto nell’alta cucina perché preferiscono le pietanze tradizionali, abbondanti e saporite.

Cari abitanti della Magna Grecia, è proprio qui che vi sbagliate: al “Ristorante Coria” gli ingredienti sono genuini, l’eleganza nei piatti regna sovrana ed è uno dei luoghi dove si può assaporare la cucina siciliana più tradizionale che ci sia. Facendo l’occhiolino allo stile.

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