Valentina Bertini

Una carriera volta all’innovazione e alla scrematura di quei dogmi che interpongono un muro fra sommelier e cliente, a partire dall’eliminazione del classico abito e del tastevin, per finire con il cambiamento di modalità con la quale ci si interfaccia con il commensale, rimuovendo il carattere saccente della spiegazione che molte volte annoia il cliente piuttosto che affascinarlo.
La fortuna di Valentina è, come dice lei stessa, quella di aver potuto assaggiare vini grandiosi; infatti puntualizza: «sarebbe assolutamente impensabile poter parlare di determinati vini senza averli prima bevuti!». Anche parlando di abbinamenti, trapela il carattere innovativo di Valentina che si dichiara annoiata da certe forzature, concorde con l’idea marchesiana che il vino vada bevuto da solo, ma nella convivialità. «Certe volte i wine pairing risultano forzati o approssimativi, bisognerebbe decidere a priori quale, fra il vino e il piatto, si voglia esaltare». Se da un lato è vero che esistono vini talmente grandiosi e perfetti che svilirebbero qualsiasi piatto a cui vengono accostati, è altrettanto vero che ci sono piatti talmente delicati che qualsiasi vino andrebbe a coprirne i profumi; da qui la necessità di abbinamenti con nuove tipologie di bevande quali tisane, cocktail, birra, infusi e brodi.
Tornando al wine pairing della Terrazza Gallia, Valentina dice chiaramente che viene eseguito a sei mani con i fratelli Vincenzo e Anotnio Lebano, giovani chef del ristorante. Quando vengono provati gli abbinamenti per i nuovi menu, Valentina si confronta sempre con loro due per assicurarsi della selezione giusta. Di rado le scelte risultano discordanti e in ogni caso i due chef lasciano molto spazio alla sommelier nella decisione degli accostamenti. 
Sebbene il suo approccio alla professione sia del tutto innovativo, Valentina apprezza la bevibilità tradizionale dei grandi vigneti; e per questo talvolta viene “accusata” di essere troppo filo francese. Senza troppi giri di parole Valentina è infatti incline a esaltare i grandi vini di Borgogna, non tralasciando ovviamente le grandi regioni vitivinicole italiane come la Toscana, il Piemonte, l’Abruzzo, il Friuli, la Sicilia e l’Umbria, «perché sono umbra» conclude sorridendo. 
Diversa invece la sua posizione in merito a certi vini “naturali”, dato che la naturalità non è del tutto dichiarabile, quindi vengono a essere considerati naturali molti di quei vini che nel bouquet hanno il Brett, letteralmente ‘sentore di sudore di cavallo’, quindi un odore stallatico.
Tutto questo è ai limiti del comico se si pensa che i grandi vini di Borgogna vengono da sempre lavorati in biodinamica e l’odore che li caratterizza è tutto fuorché stallatico.

Tratto da Valentina Bertini di Marco Polizzi - IS n°32
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