Marco Annunziata e la riscoperta della familiarità

Lo chef, dopo esperienze importanti a fianco di Andrea Berton, Claudio Catino e Simone Sangiorgi, nella sua cucina applica un "ritorno al futuro", dove a stupire non è la novità, ma la nuova veste della tradizione.
Ci sono incontri importanti nella vita di uno cuoco, altri che rimangono indelebili per sempre. Come la sera in cui Marco Annunziata ricevette come ospite lo chef Eugenio Boer, che dopo avergli descritto il suo futuro progetto gli disse «Vorrei che tu fossi lo chef del mio secondo ristorante!». Quella sera nacque proprio “Altriménti”, il ristorante in cui oggi Marco Annunziata realizza un’idea condivisa da Boer e dal socio e maître Damian Piotr Janczara: riprendersi la tradizione e riportare a tavola i piatti che piacciono alle persone. In zona City Life, a Milano, Altriménti va a colmare un vuoto, offrendo una proposta di cucina che si avvicina molto al “ristorante sotto casa”. Nonostante l’estrema cura nella forma, c’è molta sostanza nel locale di via Monte Bianco, poiché si possono mangiare piatti che lo chef stesso non ha timore di definire “di pancia”. «Non c’è niente di male ad assaggiare ciò che hai sempre mangiato» ricorda saggiamente il giovane cuoco, soprattutto se si stringe un patto con la valorizzazione degli stessi ingredienti.



Così anche una comune carota “ciuffo” assume significato se stufata con olio, burro sale e pepe e servita con una crema caprino e crême fraîche fatta riposare per una notte in stamigna, e poi con crumble di olive taggiasche e jus di verdure, ottenuto dai fondi degli scarti di cucina. Oltre alle verdure, lo chef propone altri due percorsi: quello di carne, grazie al quale si può mangiare un risotto alla milanese con ragù di vitello; o quello di pesce, in cui le sue origini campane attraverso una cucina grezza ma verace, concretizzata in un polpo cotto a vapore, con giardiniera di verdure cotte in osmosi e salsa romesco di peperoni arrostiti come da tradizione, ma frullati con aceto, pane, nocciole e peperoncino. Tre esempi degustativi di una tradizionalità che stupisce, perché non vuole insegnare qualcosa ma è diretta alla convivialità, ai profumi e sapori che stimolano il senso goloso. Altriménti si pone l’obiettivo di fare bene ciò che si faceva negli anni ’70, ovvero essere un ristorante di quartiere a tutti gli effetti, che non si sposta dalla zona comfort di tutti noi. Un’esperienza nuova ma non troppo, un qualcosa che mancava e che è tornato.

Tratto da: Marco Annunziata, di Elio Ciconte - IS n°34
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