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Luca de Santi, il pasticcere del Ratanà

Il trentasettenne Luca De Santi è partito da Vicenza per lavorare con maestri pasticcieri e chef 3 stelle Michelin, succhiandone segreti e saperi, e arrivando infine a Milano, al ristorante Ratanà, dove ora sta incorporando le diverse esperienze professionali che ha accumulato negli anni per dirigere un’orchestra di nove cuochi, insieme al cuciniere di casa Cesare Battisti. Carlo Spinelli lo ha intervistato per ItaliaSquisita.
Ecco il nuovo sistema gastronomico di Luca De Santi, uno dei pasticcieri da ristorazione più interessanti nel nostro goloso Paese.

Data e luogo di nascita. E la tua infanzia culinaria in Veneto?
Sono nato a Vicenza il 25 novembre 1979 e fino a 17 anni la mia infanzia culinaria è fatta di ricordi strettamente legati alle donne di casa: mamma, nonna e zia. Siamo una famiglia che viene dalla campagna e le tradizioni sono sempre state molto forti: dai grandi classici come i bigoli co l’arna (anatra), il baccalà alla vicentina, passando per tutte le frattaglie, gli animali da cortile, pesci d’acqua dolce… Sono questi i profumi della mia infanzia. Mancano i dolci, ma quelli arriveranno un po’ più avanti.

Una vita passata nel cibo: mi puoi raccontare tre aneddoti culinari della tua infanzia, adolescenza e maturità?
Porterò con me per tutta la vita il ricordo di Cisco: avevo 7-8 anni e in Corso Palladio in centro a Vicenza c’era sempre lui con il suo tavolino a vendere gli stecchi di frutta caramellata, noci, fichi etc, ma la cosa più buona erano i peperoni verdi, prima passati sott’aceto e poi caramellati. Penso abbia dato una svolta importante al mio concetto di dolcezza, poi purtroppo con l’arrivo delle inflessibili normative sul cibo di strada Cisco ha terminato la sua attività. Da adolescente poi, quando andavo a scuola, mi cimentai nella preparazione della “fugassa” (è un pane dolce che si consuma durante la Quaresima, per poi lasciare spazio alla colomba) ma la preparazione non andò molto bene... Ancora oggi i miei fratelli e sorelle mi ricordano che era dura come un sanpietrino. Decisi in quel momento che i lievitati sarebbero stati una missione personale. E infine quella volta che, durante una stagione invernale, impastai la biga della pizza per circa 150 persone, la misi in frigorifero e la lasciai riposare. Il giorno dopo l’impasto era lievitato a tal punto da essere esploso in frigorifero! Oltre alla disperazione per la cazzata i miei colleghi decisero di farmi uno scherzetto: presero la pasta, la stesero come un lenzuolo e me la lanciarono addosso come una coperta. Questo è un altro bel ricordo della mia missione!

Quando e come hai capito che il cibo e la pasticceria sarebbero stati i tuoi obiettivi professionali?
Sin da piccolo la cucina era la mia stanza della casa preferita e la scelta dell’indirizzo scolastico alberghiero è stata naturale. La pasticceria invece è arrivata in terza superiore: sono rimasto subito affascinato dai primi approcci a tecnica, pesi e tempistiche e da quel momento non ho più smesso.

Chi sono i tuoi maestri? E in cosa ti hanno maggiormente aiutato?
I miei maestri sono tutti gli chef e i pasticcieri che ho incontrato nel mio cammino e che mi hanno lasciato qualcosa: sicuramente Claudio Venturini mi ha insegnato la pasticceria, le basi del lavoro e soprattutto l’umiltà; Riccardo Monco e Italo Bassi all’Enoteca Pinchiorri a Firenze mi hanno educato al lavoro in ristorante e insegnato come ci si deve muovere all’interno di questo mondo; la pasticciera Loretta Fanella mi ha fatto conoscere l’altro lato della pasticceria, quello che si lega al gioco, ai colori, e poi anche la passione e la delicatezza del tocco femminile. E ora, con lo chef Cesare Battisti del Ratanà a Milano, apprendo ogni giorno la cucina nella sua totalità e ho capito, organizzando il lavoro di tutta la brigata, che il lato psicologico della squadra è quello più importante, che garantisce il buon funzionamento di tutto e stimola a raggiungere gli obbiettivi comuni.

Milano: come vedi questa città dal punto di vista gastronomico? Anche secondo le tue esperienze un po’ internazionali e gourmet/street Al Mercato..
Sono a Milano da cinque anni e ho capito che è sempre stata una città fashion victim, ora le cose stanno cambiando grazie anche a Expo che l’ha portata a livello delle grandi capitali europee. Certo c’è ancora da fare ma molto è già accaduto, forse ancora non l’abbiamo capito ma da città di puro business, cene frugali e tanta apparenza, Milano si sta trasformando nella piazza di riferimento per tanti cuochi che provengono da tutta Italia e che portano il loro sapere e le loro tradizioni, e quindi un bagaglio culturale enorme. Indubbiamente ora la ristorazione si prende molto più seriamente di qualche anno fa. Dopo Peck ho collaborato con il ristorante&burger bar Al Mercato dove ho lasciato la mia esperienza ma ho anche appreso, grazie alla loro cucina estrema, l’utilizzo dell’acido e del piccante ed è stato per me indubbiamente un bel lavoro quello di studiarne le declinazioni nelle preparazioni di pasticceria.

Ratanà: Cesare Battisti e la nuova avventura, cosa stai combinando?

Io e Cesare ci conoscevamo già, lui rispecchiava nella cucina i miei stessi valori: pochi compromessi, stagionalità e uso di materia prima eccellente. Durante il primo vero incontro, nel 2012, mi ha espresso la sua difficoltà nel trovare non solo pasticcieri ma professionisti che credessero nel progetto di un ristorante e di una cucina dove gli attori fossero i cuochi, i piccoli artigiani e la stagionalità, senza aiuti di prodotti chimici e semilavorati, di largo uso nelle cucine, ma dove le persone si potessero esprimere attraverso un’unica voce e valori condivisi. Dopo un periodo di aiuto in pasticceria, ho avuto delle motivazioni personali per approfondire gli obiettivi del ristorante e così è iniziata una collaborazione fissa e costante che mi ha portato a essere una delle anime gastronomicamente attive del Ratanà: ora ricopro cariche di responsabilità sulla gestione della cucina composta da nove cuochi, e l’obiettivo non è solo quello di insegnare il lavoro ma anche quello di coinvolgere il personale nella nostra visione di ristorazione moderna, concreta e senza fronzoli. Una volta cuochi e pasticcieri erano giudicati per la bontà di quello che sapevano realizzare e presentare nel piatto, per il saper raccontare al commensale da dove provenisse la materia prima e dimostrare quanta fatica ci fosse dietro ogni preparazione; tutto questo senza tenere in considerazione il “cromaticamente bello” o il “è di tendenza”. Ecco, noi siamo proprio così, di vecchio stampo perché ricerchiamo il sapore e manteniamo vive le tradizioni culturali del vero cuoco, ma in maniera contemporanea, spigliata e professionale fino all’ossessione.

Mi illustri i tuoi 5 dolci più emblematici?
Io sono veneto e al primo posto metto di sicuro il tiramisù di mia mamma, dolce inimitabile e ricordo atavico della mia infanzia. Il tortino di cioccolato gianduja, dal cuore morbido del Maestro Marchesi, goduria allo stato puro, versione 2.0 del tortino al cioccolato di Michel Bras. La magia della lievitazione, pura alchimia quando esegui un croissant dalla a alla z: quando è pronto e lo addenti, la pasta sembra cristallo. Lo studio su come candire le verdure di stagione, specialmente quelle autunnali e invernali come il carciofo (una delle mie verdure preferite) e la barbabietola: al primo mi piace dare dei sentori di liquirizia, alla seconda mi piace imprimere maggior nobiltà sdoganando la sua essenza di regina dei prodotti naturalmente dolci e zuccherini e rivalutandola come protagonista dei dessert. Il dolce veramente più emblematico? Semplicemente quello che stiamo ancora studiando.



(Tratto da “Luca de Santi e la sua nuova pasticceria delle origini”, testo di Carlo, foto di Valentina Tamborra, Brambilla-Serrani e Cucchiaio d’Argento, Stefano Caffarri)

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