Il Panettone: principe alveolato dei grandi lievitati

Un confronto diretto fra pasticceria di laboratorio e alta ristorazione: Gino Fabbri e Nicola Di Lena hanno raccontato la loro visione del panettone.
La notte del 24 dicembre di un non precisato inverno del XV secolo, a Milano, in casa Sforza, in quello che oggi si conosce come Castello Sforzesco, si stava consumando la cena della vigilia. Alla corte di Ludovico il Moro il banchetto procedeva senza intoppi fino a quando il cuoco della famiglia non bruciò inavvertitamente il dolce.
Toni, sguattero delle cucine, prese un panetto di lievito, gelosamente custodito, lo lavorò aggiungendo farina, uova, uvetta, canditi e zucchero, ottenendo un impasto particolarmente lievitato e soffice.
Come nella più bella delle storie, il deus ex machina è sempre quasi fuori contesto: il dolce, ça va sans dire, piacque talmente tanto che la famiglia decise di renderlo una tradizione e chiamarlo Pan di Toni, da cui nei secoli deriverà il termine Panettone.

Di errori fortunati la pasticceria ne è piena, basti pensare alla Tarte Tatin, nata da una rovinosa caduta a faccia in giù della teglia o alla ganache, letteralmente “imbecille” riferito all’apprendista che aveva commesso l’errore, ma non è dato sapere se “Toni” sia effettivamente l’artefice di questa magica ricetta; alcune storie attribuiscono l’invenzione del panettone a suor Ughetta o ancora a Ughetto degli Atellani.
L’unica verità incontrovertibile è la nascita del panettone in periodo medioevale, legato alla tradizione dei ricchi pani preparati in occasione delle feste, serviti dal capofamiglia ai commensali. Per i gastronomi, le prime prove di esistenza del Panettone si hanno nel 1606, quando nel dizionario milanese-italiano fece capolino il Panaton de danedaa (più simile al pandolce ligure che al panettone così come lo conosciamo oggi).

Nell’800 la ricetta venne perfezionata e prese il nome di “panattón o panatton de Natal”. È nei ruggenti anni 20 che si sostanzia la standardizzazione de Il Panettone, per opera di Angelo Motta che, prendendo ispirazione dal Kulic, dolce tradizionale della Pasqua ortodossa, decise di aggiungere il burro e di avvolgerlo nella carta, confezionando il panettone dei nostri giorni.



Il Panaton, classico dolce della tradizione gastronomica milanese, è per definizione, il prodotto dolciario da forno a pasta morbida, ottenuto per fermentazione naturale da pasta acida, di forma a base rotonda con crosta superiore screpolata, di struttura soffice ad alveolatura allungata.
Nessun addensante e nessun additivo concesso, solo la naturalità degli ingredienti che ritorna.
O nei pressi di Bologna o fra le mura di un haute hotel meneghino, il panettone viene celebrato, con minuziosa cadenza, dal 20 novembre al 24 dicembre. È un dolce capace di riportare alla memoria i primi ricordi dei natali da bambini, tendenzialmente ricordi dolci e felici. Per Gino Fabbri «il panettone è un prodotto che racchiude molte delle memorie storiche presenti nella nostra psiche. Quando lo mangiamo ci ricorda la farina, il lievito, le uova, la frutta secca, i canditi… è un qualcosa di meraviglioso, se fatto bene. Pochi ma ottimi ingredienti».

Gli stessi, pochi, ingredienti che ritroviamo nel panettone di Nicola Di Lena, materie prime della migliore qualità, tecniche e procedimenti perfettamente precisi. «Un panettone, milanese, tradizionale, per pochi e in pochi pezzi. Fatto nel miglior modo possibile». Un assunto che si ripete, la devozione e il rispetto che i pasticceri provano per questo dolce è disarmante.

Una memoria in movimento, che respira e cresce, plasmata dalla mani dei cultori e dai capricci del lievito. Un dolce antico, pregno di storicità, che non ha mai smesso di muoversi, seppur rimanendo immobile.



Tratto da "Il Panettone" di Marco Polizzi, IS n°35

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