Chef

Caterina Ceraudo: da Niko Romito al ristorante Dattilo

Non c’è rete, non c’è campo e prende male pure il wi-fi. A qualche decina di metri dall’azienda agricola Ceraudo il mondo connesso cede il passo all’isolamento, al distacco, alla felicità. “Felice è colui che fa felice gli altri” recita, infatti, in bella mostra all’ingresso di questa singolare maison letteralmente immersa nel verde della campagna calabrese, la mission dei suoi artefici.
LA STORIA
A far felici gli altri, qui, ci pensano Roberto, il patron, il capostipite, l’irrequieto, l’instancabile, l’inizio di tutto, e la sua famiglia. A ognuno il proprio ruolo, la propria competenza, il proprio contributo al benessere e alla beatitudine di chi, turista per scelta o per caso, abbandonata la Statale Jonica 106 in preda allo sconforto, misura fiducioso i metri di innalzamento sul livello sul mare nella speranza di una inversione di rotta, di un segno di intelligenza, di un cenno di discontinuità dallo spettacolo della mortificazione di una delle coste più belle e meno conosciute d’Italia.
Caterina Ceraudo, l’ultimogenita, fare accomodante e sorriso disarmante, dopo la laurea in viticoltura ed enologia a Pisa e un apprendistato illuminante e formativo da Niko Romito alle prese con i primi vagiti di Casadonna, è tornata qui a prendere in mano le redini del ristorante diventato nel tempo, tra le tante espressioni dell’azienda, un tassello fondamentale, il segno tangibile di un sogno perseguito con fatica, determinazione e lungimiranza: piacere nel ricevere i clienti, piacere nel prendersene cura, piacere nel far scoprire e nello scoprire – insieme a loro – che il cibo e il vino, come in una moderna e laica eucarestia, possono mettere in comunione con l’essenza più profonda e migliore della terra, quando questa è capita, rispettata e assecondata nei suoi ritmi, nella sua ciclicità di sacrificio e rigenerazione.



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LA CUCINA

Il vino che solleva, eleva e alleggerisce il cuore è quello dell’azienda, frutto prezioso di quelle vigne che, tutt’intorno, si rincorrono da una collina all’altra senza mai perdere di vista il mare, ma è la cucina a riservare le sorprese più grandi, una cucina di sostanza, diretta, sincera, forse senza scosse telluriche, ma concepita e realizzata nel solco e nello stile di Dattilo, della sua bellezza dimessa e discreta, della sua eleganza fuori dal tempo, della sua resistenza oltre il tempo. Gli appetizer sono piccoli assaggi di terra e di mare, della terra e del mare di Calabria, trascese e sublimate: polpette di cicoria e spinaci; alici fritte; fagottini ripieni di pomodorini, provola silana, sardella e pistacchi e un mini hamburger di podolica così intenso ed evocativo da diventare paradigma delle potenzialità di Caterina. L’antipasto può essere, senza tema di fraintendimenti, un Ceviche di dentice che il bergamotto, il limo, il miele, la senape selvatica e la cipolla di Tropea rendono immediatamente identitario e familiare al palato. Il primo sa essere senza ombra di piaggeria un omaggio sincero allo stile asciutto e tutto concentrato sul sapore del maestro Romito, è la semplicità di una melanzana appena colta dall’orto all’apice della sua maturità che diventa freschezza estiva e ristoro del palato grazie all’acqua di pomodoro e al profumo intenso del basilico greco. Ai secondi è il passito di papà Roberto che con suo sommo dispiacere nappa lo stinco di vitello a sciogliere ogni riserva e a fargli guadagnare, accompagnato da carotine glassate e gel di limone, il podio di piatto icona del Dattilo. Al dolce, cremoso al cioccolato bianco con crumble, “veri” frutti di bosco, aceto di lamponi e lamponi disidratati, il piacere si fa dichiarazione d’amore perpetuo per questa grande tenuta di famiglia che non teme il confronto con i migliori e blasonati relais in terra di Francia.

(Tratto da “Pupilli di Calabria” di Danilo Giaffreda, IS#25)

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