L'Italia Giapponese di Luca Fantin
È proprio la natura paradossale della sua filosofia culinaria a renderlo unico come chef, in particolare a Tokyo, dove la scena della cucina italiana è dominata da ristoranti che cercano di replicare ricette classiche o servono una cucina ibrida in bilico tra sapori italiani e giapponesi.
Fantin è allo stesso tempo un locavoro e un purista del cibo italiano, un guardiano della tradizione e un innovatore. Invece di riproporre le ricette di sua nonna, mette a segno piatti d’avanguardia che da un lato guardano al passato e dall’altro strizzano l’occhio al futuro. A eccezione di pochi elementi essenziali, come l’olio extra vergine d’oliva e il Parmigiano Reggiano, lo chef lavora con ingredienti giapponesi, ma si limita a usare quelli utilizzati anche in Italia. A “Il Ristorante Luca Fantin” non si trovano piatti a base di dashi (brodo a base d’alga e “tonnetto”) o guarniti con yuzu (l’aromatico agrume giapponese). «Non mi interessa affatto il cibo fusion!» dichiara in modo categorico lo chef. Benché alcuni ristoranti italiani della città facciano di tutto per ricevere la carne direttamente dall’Italia, Fantin insiste sul fatto che l’autenticità non è sinonimo d’importazione.
«Certamente la provenienza è importante quando si parla di cultura e di storia, ma credo che quando si fanno arrivare ingredienti freschi dall’altra parte del mondo, si rischia di perderne qualità e sapore».
La riverenza giapponese per gli ingredienti è forse la prima delle caratteristiche che ha attratto Luca in questo paese dieci anni fa, quando si è trasferito a Tokyo per un veloce tirocinio con Seiji Yamamoto al ristorante kaiseki (alta cucina giapponese) e contemporaneo “Ryugin”. Quando lavorava al “Mugaritz” di Andoni Luis Aduriz, aveva incontrato Yamamoto in occasione del congresso Madrid Fusion ed era rimasto molto colpito dall’approccio meditato e rigoroso dello chef giapponese nei confronti della cucina: per lui è importante valorizzare, e non alterare, il sapore e la consistenza originale degli ingredienti. «Gli chef europei si preoccupano soltanto di quello che compare sul piatto. Non lasciano che i prodotti si esprimano da soli» afferma Fantin.
Tradizione e innovazione della cucina di Luca Fantin
Negli ultimi anni lo chef veneto ha setacciato il paese in lungo e in largo per cercare “ingredienti italiani in Giappone”. La sua ricerca lo ha portato fin sulla cima del monte Fuji dove è riuscito a scovare un tesoro di funghi selvatici: porcini dall’umami intenso, gallinacci e ovuli dal cappello arancione e dall’interno di un giallo splendente. Nella prefettura di Kumamoto, nella parte orientale dell’isola di Kyushu, ha scoperto uliveti e pluripremiati produttori d’olio. Ora sta lavorando con i produttori di uova di storione della prefettura di Miyazaki, un’area conosciuta per la sua carne di manzo e per il whisky, per rifornire il ristorante di caviale creato ad hoc per lui e per la sua cucina. Trovare i giusti ingredienti, tuttavia, non è che l’inizio.
Come Fantin sottolinea, i prodotti giapponesi sono leggermente diversi dai corrispettivi italiani, e per questo sono richieste delle modifiche. Le verdure e il pesce di questo paese, dal sapore così delicato, per esempio, possono essere facilmente sopraffatti da salse troppo intense o metodi di cottura aggressivi. Lo chef ha trascorso moltissimo tempo a cercare di preparare la spigola in modo che “avesse la consistenza tenera tipica dei nostri piatti italiani”; ha investito molta energia per cercare di capire quale sia la tempistica perfetta per la frollatura del manzo giapponese, in modo che abbia “la consistenza di una bistecca alla Fiorentina”. Sperimentatore meticoloso, Fantin si diverte a scomporre gli ingredienti, in modo da carpirne l’essenza. Ciò che caratterizza la cucina di Fantin sono la delicatezza e la precisione. Come un ballerino di danza classica che si allena per ore per evocare l’idea di leggerezza, così Fantin cucina con un’eleganza apparentemente senza sforzo che contraddice lo studio e la tecnica meticolosi che contraddistinguono ogni singolo piatto. «La società giapponese è perfezionista. Questo mi aiuta a impegnarmi in ciò che faccio quotidianamente». Questa frase esprime perfettamente lo spirito giapponese del kaizen, la pratica quotidiana volta al miglioramento di se stessi. A “Il Ristorante”, Fantin ha creato un ristorante italiano che può esistere solo a Tokyo, uno spazio strettamente legato ai due mondi ma che allo stesso tempo si colloca esattamente nel mezzo di entrambi, il posto che Luca Fantin chiama “casa”.
Il mercato Tsukiji visto da Luca Fantin
È mattina e lo chef Luca Fantin si destreggia agilmente all’interno del caos del mercato Tsukiji di Tokyo. Facendosi largo attraverso venditori che portano vassoi di vongole dal colore rosso cremisi, il suo sguardo si posa su alcuni granchi e su alcune seppie dall’aspetto arrabbiato che nuotano in una vasca. Fantin schiva i carrelli a motore che sfrecciano a una velocità spaventosa e scansa con aplomb schegge di ghiaccio volanti. Dopo aver vissuto più di sei anni a Tokyo, lo chef originario di Silea, nella provincia trevigiana, si è abituato al ritmo frenetico dello Tsukiji: vi si reca regolarmente a fare la spesa da quando è l’executive chef dei ristoranti del Bulgari in Giappone, a partire dal 2009. Nella cucina de “Il Ristorante Luca Fantin” (il suo ristorante stellato all’ultimo piano della Ginza Tower di Bulgari a Tokyo) lo chef italiano esamina gli ingredienti con la stessa accuratezza con cui li ha ispezionati durante il loro acquisto. «Guarda qui» dice, sollevando un gamberone proveniente dal nord dell’isola di Hokkaido. È un bellissimo esemplare della lunghezza di una mano, con striature nere e blu sulla coda. «La cosa più bella dell’essere in Giappone è la qualità degli ingredienti» mi dice, «usiamo prodotti locali per esprimere il vero sapore della cucina italiana in una maniera contemporanea».
(Tratto da “L’Italia giapponese di Luca Fantin” di Melinda Joe, IS#24)